giovedì 29 gennaio 2015

L'antica Basilica di S. Domenico

Tra il patrimonio artistico cremonese è importante ricordare e menzionare l'antica basilica di S.Domenico, demolita nel 1868 per far posto ai giardini pubblici della città.
Si trattava di un edificio religioso di prestigio di cui ho trovato un interessante documento che descrive i beni artistici contenuti in questo antico tempio.
E' un foglio stampato dalla tipografia Montaldi col titolo « La chiesa di S. Domenico e il " Corriere cremonese"».
Sul volantino, ripubblicato dal giornale locale Provinciacr.it, si spiegano le ragioni portate dagli esperti archeologici che avevano considerato la chiesa «un monumento d'architettura religiosa».
La commissione archeologica era formata da insigni studiosi di fama nazionale...
La basilica veniva visitata lungamente e pazientemente; la commissione esaminava tutte le opere (tele ed affreschi) e presentava al Ministero il suo rapporto nel quale si lodava la maestosità e la bellezza dell'edificio, si rimarcava la conservazione, si smentiva l'imminente pericolo di rovina e si dichiarava, infine, che la riparazione doveva limitarsi ad un solo pilone della crociera.
La consegna del materiale d'arte della chiesa appare da alcuni elenchi che si trovano tra le carte dell'Archivio comunale; essa veniva iniziata nel 1864 e completata nel 1865.
Il problema della demolizione dell'antico tempio domenicano era intanto oggetto di particolare attenzione presso gli alti funzionari del Ministero.
Nel 1864 i Ministeri interessati avevano, anzi messo già in atto un esperimento d'appalto per la demolizione. 
La pubblica gara veniva fissata per il 24 agosto con un prezzo base di 9 mila lire, ma a questa chiamata non si presentava nessuno. 
Andata deserta l'asta, una proposta veniva fatta negli ambienti della municipalità, ma il Comune non si decideva a trattare l'acquisto dell'area... Si provvedeva a svuotare la chiesa dalla mobilia (confessionali, banchi, quadri) che venne portata in palazzo vescovile e accatastata in uno stanzone. I quadri vennero, in seguito, consegnati al Comune mentre i mobili della Chiesa furono venduti ai diversi parroci delle chiese di provincia con una specie di asta.

Un'altro interessante studio, che riporto di seguito, è il lavoro di Fabrizio Loffi sul blog Cremona Misteriosa dove si racconta la vera storia della demolizione di S. Domenico.
Viene portata la testimonianza di Padre Marcellino da Agnadello, al secolo Vincenzo Moroni, il primo sacerdote cremonese ad aver esercitato, in modo pressoché esclusivo, l’attività di giornalista, in qualità di direttore del primo periodico religioso cremonese “La Buona Famiglia”, antesignano dell’attuale settimanale “La Vita Cattolica”.
Un suo lavoro degno di nota è proprio la cronaca esatta della demolizione di S. Domenico, ricostruita sulla base delle testimonianze dirette e dei verbali della commissione mista del genio civile e del genio militare.
Un documento eccezionale di cronaca giornalistica...

domenica 25 gennaio 2015

Daniele Piazzi: Omobono di Cremona

Daniele Piazzi, teologo e liturgista cremonese, ha scritto questo interessante testo sul santo medievale, patrono della città di Cremona.
Siamo di fronte ad un santo che emerge dal tessuto sociale e civile della città, un persona normalissima, quindi non appartenente a nessun ordine religioso.
Nella sua introduzione, Piazzi, chiarisce come:
"I santi divengono tali, perché lo sono secondo l’opinione degli altri.
Non è una affermazione dissacrante.
E' “l’opinione pubblica ecclesiale”, che fa di un credente un santo.
La santità nel medioevo
Nell’antichità cristiana era la Chiesa locale a riconoscere in un defunto la santità e a proporlo come modello e intercessore. 
Pian piano la Sede Apostolica ha riservato a sé questo diritto, ma non è mai scomparso il retroterra popolare, la fama di santità che spesso accompagna un uomo di Dio fin da vivo. 
I santi acclamati popolarmente raggiungono subito una grande venerazione però viene a mancare il substrato storico fatto di documenti.
Nasce allora la necessità di scrivere e si evidenziano una serie di domande che l'autore esprime in maniera chiara:
"Come si fa a divulgare la fama di santità senza una biografia? 
Come si fa a celebrare la festa annuale del santo senza ufficiature appropriate che ne cantino la vita, le virtù, i miracoli? 
Nasce l’esigenza popolare e liturgica insieme di celebrare il campione della fede, mostrando ai contemporanei e ai posteri la corrispondenza della sua vita con le regole di santità comunemente accettate."
L’agiografo medievale riordina il materiale (a volte l’inventa) secondo canoni diversi dai nostri. 
Gli fanno scuola le grandi vite sanctorum composte prima di lui e diventate dei classici. 
Giustamente Piazzi si interroga, a questo punto, se veramente sono affidabili questi racconto agiografici.
E ancora "quali strumenti abbiamo per tentare di raggiungere la personalità di un santo medievale? "
Infatti abbiamo solo le sue antiche biografie e la possibilità di interpretarle alla luce dei numerosi studi che ormai hanno fatto adeguata luce sul clima spirituale e culturale del medioevo. 
Dinanzi a questi esempi di santità popolare gli occhi dell’agiografo, meglio se contemporaneo o di poco posteriore, sono per noi la prima fotografia che la storia ci dà.
"Una fotografia - come specifica l'autore - certo scattata con l’angolatura e i filtri del suo tempo, della sua cultura, della sua teologia sulla santità, ma non meno preziosa, poiché la figura del santo ci viene consegnata dal medesimo ambiente che il santo ha respirato nella sua esistenza, da quel progetto di vita cristiana che ha condiviso con i suoi contemporanei."
La preziosa considerazione di Piazzi, dinanzi a questi documenti antichi, così si impone: 
"Le vite medievali sono strumenti da prendersi con cura, ma non sono così disprezzabili come una certa storiografia vuole farci credere, anzi, se lette bene ci trasmettono una quantità insolita di particolari, sono una miniera di informazioni."
Il lavoro del teologo cremonese su S.Omobono nasce dunque dal desiderio di far accostare più persone possibile alle antiche agiografie di sant’Omobono.
Si tratta di testi che l'autore ha studiato approfonditamente per poter realizzare la revisione del calendario e dei testi per la celebrazione dell’Eucarestia e della Liturgia delle Ore nelle ricorrenze proprie della Chiesa cremonese. 
Constatando la riduzione e a volte la sfasatura nella presentazione della figura del santo patrono cremonese operata dalle biografie dal ‘500 in poi, l'autore ha ritenuto opportuno ritornare alle fonti e non lasciare i manoscritti rintracciati nella ordinata polvere delle biblioteche. 
La finalità del presente scritto è quindi - secondo Piazzi - molto semplice: trascrivere, tradurre, commentare i più antichi manoscritti degli anonimi biografi di Omobono e, infine, tentare di collocare il santo nella più genuina spiritualità del suo tempo. 
Lo studioso francese André Vauchez è stato, con le sue opere, edite in questi ultimi anni e nelle quali ha sapientemente studiato i santi laici medievali cremonesi, un valido aiuto per la realizzazione di questo lavoro.
Ha permesso infatti all'autore di rintracciare i manoscritti e di capire meglio la personalità di Omobono. 
Un punto dolente di Piazzi si legge nell'introduzione dove dice che "mentre si nota che i nostri santi medievali guadagnano uno spazio di tutto rispetto nella storia della santità e della spiritualità, si sta affievolendo la devozione del popolo di Dio nei loro confronti."
Per questo motivo il testo realizzato ha proprio l'intento di risvegliare l’interesse dei cremonesi e degli studiosi verso il santo patrono, veneratissimo dai padri.
Omobono Tucenghi
Nel riassumere questo studio sulla figura del Patrono di Cremona, Daniele Piazzi evidenzia come la lettura incrociata dei testi agiografici sulla vicenda storica del santo insieme all'indagine sul clima ecclesiale spirituale e sociale nel quale è vissuto e ha maturato la sua esperienza religiosa, ci ha aiutato a superare l’ambito ristretto di lettura della sua santità nella tradizione cremonese.
Il lavoro fa comprendere come è importante passare dall’effetto alla causa, dalla attività caritativa e dall’amore ai poveri di Omobono alla radice di questa scelta di vita: la penitenza volontaria e la sequela di Cristo crocifisso e della sua umanità; in una parola si potrebbe dire , attualizzando, la conversione:
“All’origine della scelta dell’atteggiamento penitenziale si trova evidentemente il passo evangelico di Matteo, 4, 17: ‘Penitentiam agite, approprinquabit regnum celorum’.
Un santo penitente
L’appello alla conversione, alla rinuncia al peccato, è strettamente legato alla prospettiva dell’imminente avvento del Regno: 
‘Fate penitenza, il Regno di Dio è vicino’. 
Questo implicito nesso causale è stato colto con estrema nettezza nel Medioevo, quando fare penitenza non significava soltanto mortificarsi o domandare perdono per le proprie colpe. 
Significava anche assumere l’unico atteggiamento ammissibile nei confronti di Dio: riconoscersi peccatori in tutta umiltà e pentirsi per ripristinare un rapporto spezzato dal peccato. 
Allorché l’uomo si definisce come puro nulla dinanzi alla maestà divina, secondo la mentalità medievale, Dio è quasi obbligato a rivelarglisi. 
Ma tale risultato può essere conseguito solo al compimento di un esercizio di purificazione che passa per il triplice rifiuto del potere, del sesso e del denaro. 
Una simile concezione della purificazione per mezzo della penitenza, attraverso questa triplice rinuncia, fu molto apprezzata anche dai laici medievali perché andava nel senso di una tendenza fra le più caratteristiche della pietà popolare, che ama contrapporre il nero al bianco e si mostra volentieri manichea. 
Omobono è proprio figlio del XIII secolo dove l’ideale penitenziale sfocia in un ascetismo ansioso di conformarsi alla Vittima del Calvario. 
Subire pene corporali, per un laico di quel tempo, significava anzitutto riattualizzare e rivivere nel proprio corpo la Passione del Figlio di Dio.
Questo, in breve, lo spirito che ha animato la santità di Omobono Tucenghi del quale troviamo, nel libro di Piazzi, gli scritti autentici delle varie antiche biografie del Santo.
Ne complesso , a mio avviso, siamo di fronte ad un testo interessante per gli studiosi del medioevo, ma anche per tutti coloro che vogliono immergersi in questo periodo arcano e sempre affascinante.


giovedì 22 gennaio 2015

Pizzighettone: le Mura

Storia, architettura, arte, cultura, personaggi, curiosità: sono le parole-chiave delle visite guidate organizzate a Pizzighettone (Cremona, Lombardia), cittadina affacciata sul fiume Adda, tra Cremonese e Lodigiano, a pochi chilometri da Bergamo, Brescia, Milano, Parma, Pavia e Piacenza.
Al centro dell’iniziativa sono le antiche mura del centro storico pizzighettonese, sulla sponda Est dell’Adda: nate in pieno Medioevo (XIIsecolo) come caposaldo difensivo del Comune di Cremona, queste fortificazioni furono mantenute in attività ben oltre l’Unità d’Italia, fino al 1866.

Riprendo un interessante post di Davide Tansini giovane studioso, appassionato di storia medievale.
La visita guidata alle mura viene condotta dallo stesso Davide Tansini il pomeriggio di ogni sabato, domenica e festività.












Antonio Agnelli: Fare giubileo nella globalizzazione

Il libro di Antonio Agnelli, prete cremonese, è una interessante riflessione sulle tematiche di economia e politica viste da una prospettiva cristiano-missionaria.
Il testo, uscito nel 2000, in occasione del Giubileo rimane sempre molto attuale soprattutto nell'affrontare il potere speculativo della finanza.
L'autore nell'introduzione sottolinea come:
"Viviamo nell’epoca del mito della globalizzazione, presentata come inarrestabile mèta del vivere umano e della storia.
Ebbene, questo mito è nella realtà, per milioni di persone, una nuova forma di colonizzazione e di sfruttamento.
Offre alcune possibilità di miglioramento in territori limitati, particolarmente adatti all’accumulo di profitti, ma genera nella società la dimensione della conflittualità economica come unica via per raggiungere il benessere.
Essa perpetua, invece, condizioni di impoverimento e derelizione in due terzi del mondo, illudendo i miseri che entrando nel sacrario del mercato troveranno salvezza.
Intanto debbono pazientare, in attesa di un domani migliore che, però, si rimanda sempre e non sembra arrivare mai.
Fare giubileo vuoi dire, dunque, contestare il limite antropologico e spirituale della fiducia religiosa nel mercato.
Questo, esaltato fino alla divinizzazione, diviene anche l’unico legame sociale tra le persone."
Agnelli aggiunge che alla stregua di questo:
"I rapporti umani scadono a pura mercificazione.
La logica del dono viene sostituita con quella dello scambio (do ut des).
Il principio sotteso al liberismo mondializzato è, dunque, materialistico, negatore dei valori trascendenti."
Il mercato è mio pastore non manco di nulla 
Agnelli pone questo titolo al centro di una interessante riflessione in cui accenna all'epoca che stiamo vivendo come quella dell'esaltazione del mercato. 
"La caduta del comunismo ha provocato un’ondata di ebbrezza, che vede nella logica della domanda e dell’offerta — sganciate da qualsiasi riferimento — l’equilibrio perfetto delle società. 
La sparizione, inoltre, di forme alternative di gestione economica a quella capitalistica ha spinto ad una progressiva erosione dei confini delle attività produttive. 
Le imprese si trasferiscono oggi liberamente dove ritengono più opportuno; non sono più legate indissolubilmente allo Stato nazionale; benché spesso pretendano, in cambio del lavoro che possono offrire, la difesa dei loro interessi, sgravi finanziari, sostegno delle loro strategie, per districarsi meglio nell’arena della competitività mondiale."
L'autore però precisa, a questo punto che "non si tratta di essere contro un’economia di mercato: quest’ultimo è strumento importante per una migliore allocazione dei beni e per uno scambio di servizi tra le persone. 
Il problema emerge quando si analizza concretamente come si utilizza il mercato, ritenuto un’entità sacralizzata e non uno strumento umano, come di fatto è. 
Esso, infatti, è considerato dagli economisti preminenti come la mano invisibile che guida le sorti dell’umanità verso il miglior futuro possibile. 
Si tende ad evidenziarne le leggi come meccanismi “naturali” inscritti nell’ordine ontologico della realtà. 
Di fatto è, invece, il frutto dì decisioni pratiche determinate da gruppi di persone o da imprese."

Mercato valore supremo
Molto interessante è questa analisi di Agnelli che sottolinea come si vuole far diventare il mercato un'entità suprema, un insieme di norme metafisiche e immutabili.
Questo atteggiamento forse nasce dal tentativo di nascondere le aberrazioni di chi utilizza questo strumento umano per il proprio egoistico tornaconto. 
Se ne può scorgere - a detta dell'autore - anche l’immagine religioso- sacrale: "si richiede agli individui piena fiducia (fede) nelle virtù benefiche che esso possiede. In quanto nuovo spirito elargitore di grazia, consolatore degli afflitti, profeta di futura equità, il mercato infallibilmente porterà a tutti benefici e salvezza."

Competitività
Altro elemento significativo nelle riflessioni del testo è il concetto omnicomprensivo di competitività che fonda l'economia di mercato.
La competitività, entro limiti “umani”, può essere anche benefica; purtroppo, uscita dagli argini, sta divorando le società odierne. 
Sì sostiene da ogni parte che più è alta la tensione competitiva, più benefici porterà alle persone. 
Più si è competitivi, più si offriranno migliori prodotti al miglior prezzo ai consumatori. 
Però per l'autore non se ne vuol vedere la pericolosità intrinseca. 
Anch’essa da mezzo si è trasformata in fine e sta piegando la realtà economica e sociale alla mercé del più forte che, guarda caso, sono sempre le nazioni della cosiddetta Triade (Europa, Giappone e, soprattutto, USA). 
Infatti, per sopravvivere sì deve annichilire l’avversario: non c’è spazio per la cooperazione. 
Le imprese devono fondersi, allearsi con altre più forti e più strategiche per non essere travolte dal vento della competitività. 
Si afferma che l’essere competitivi è un bene per la stessa umanità, ma si dimentica che le dinamiche concorrenziali esasperate hanno la necessità di distruggere l’altro per poter sopravvivere. 
L’altro (sia esso ìmpresa, nazione, lavoratore) è sempre un nemico da abbattere, da espellere dal mercato o da soggiogare alla propria strategia. 
Ecco dunque l'interrogativo di Antonio Agnelli:
"Sono queste davvero le fondamenta per una nuova società del benessere, come il neoliberismo vuol farci credere, o non sono piuttosto elementi che disgregano la coesione sociale, il senso della solidarietà e della comunità? 
Il mercato concorrenziale, dunque, per i suoi cultori e adepti, è davvero il nuovo pastore che ci guiderà ai pascoli dell’abbondanza.
Anche se camminassimo per una valle oscura (crisi economica) non dobbiamo temere, il mercato è per noi, le sue norme ci danno sicurezza. 
Denaro e profitto ci saranno compagni in tutti i giorni della nostra vita e abiteremo nell’abbondanza per lunghissimo tempo."
Veramente interessante è questa rielaborazione un po'sarcastica del Salmo 29 che tende a smitizzare il ruolo del mercato come principio fondativo della realtà. 
Il mercato infatti dovrebbe essere piegato alle istanze etiche che promuovano realmente il bene comune e la solidarietà fra i popoli.
La finanziarizzazione dell’economia
L’esasperazione della corsa al profitto viene a manifestarsi oggi con maggior virulenza anche nella cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”.
Con un linguaggio ironico e provocante così si esprime l'autore:
"Nuovi templi sono oggi le varie Borse del mondo e il santo dei santi è Wall Street.
Nuovi vangeli sono gli indici di borsa e il nuovo incenso sono i miliardi di dollari che ogni giorno e ad ogni ora si spostano da un punto all’altro della terra attraverso un segnale telematico.
Dentro questa massa di liquidità sospesa nel nulla, in questa bolla speculativa, ci stanno anche i nostri risparmi che, accumulati da gestori e banche, entrano nel grande gioco della speculazione."
L’origine della globalizzazione finanziaria è stata resa possibile da diversi elementi.
Ricordiamo, anzitutto, la deregolamentazione, cioè l’abolizione di ogni controllo dei cambi della moneta, divenuta, a sua volta, da strumento di scambio a vera e propria merce per produrre altro denaro.
Così, pure, è stata lasciata via libera allo scambio dei capitali, che possono essere collocati in qualsiasi parte del mondo con un semplice clic del mouse.
Le attività finanziarie avvengono in gran parte per fini speculativi.
I vari strumenti utilizzati, futures, options, swaps, sono intricati contratti sul valore futuro di azioni ed obbligazioni, titoli di Stato, monete, e hanno come fine quello di ottenere accumulo di profitti, scaricando, però, i rischi dagli operatori finanziari all’intero sistema nel suo insieme, provocando crisi gravissime che possono avere influenza negativa su intere nazioni e popoli.
In questo gioco, ormai senza nessun controllo, entra anche l’economia criminale, che se ne avvantaggia e ricicla denaro sporco senza alcun timore.
L’ultraliberismo trionfante vien dunque a configurarsi come una dittatura dell’immediato e dell’istante.
La logica implacabile dei poteri finanziari dei paesi dominanti considera indispensabile un rendimento annuo che non sia inferiore al 4%.
Stati, governi, imprese sono congiuntamente sottomessi al criterio unico della redditività finanziaria immediata e istantanea.
Il mercato finanziario viene, così, a costituirsi come realtà senza finalità etiche, spazio di pura deregolamentazione e di distruzione della vita dei popoli e delle nazioni, mano invisibile, ma diabolica che avversa il progetto di un’umanità solidale.
Succubi della ricerca della redditività ad ogni costo sono anche le imprese che tendono a ridurre gli investimenti produttivi e a concentrarsi nel settore finanziario, da cui sperano di ricavare accumulo di profitti.
In questo modo esse si consegnano nelle mani degli speculatori che ne determinano l’attività.
Questa terribile analisi, oggi più che mai attuale, ci presenta il potere occulto della finanza che governa il mondo nella sua globalità.
Si tratta, nel complesso, di riflessioni di grande intensità che ci portano a veder chiaramente, a mio avviso, come la politica dovrebbe svincolarsi, con un grande colpo d'ali, da questi legami con la finanza.


mercoledì 21 gennaio 2015

Piacenza, città d'arte

Piacenza, città confinante con Cremona, sorge sulla riva destra del Po e per chi proviene dalla Lombardia o dal Piemonte, costituisce proprio la porta di ingresso dell’EmiliaRomagna.
La città è ricca di monumenti palazzi e chiese di grande valore artistico e architettonico, però non molto conosciute a livello turistico.
Infatti non rientra nelle mete italiane di grande attrazione.
La sua storia, come quella cremonese, inizia con i Romani che qui fondarono la colonia latina denominata “Placentia”, a ricordo di questo periodo significativo è il monumento alla Lupa con i piccoli Romolo e Remo, ubicato in una grande piazza da cui si accede alla città.
I resti archeologici, riguardanti questi anni, sono conservati a Veleia Romana, uno splendido sito posto a pochi chilometri dal centro cittadino.Lo stile romanico è visibile nel Duomo, un tempio che ha mantenuta intatta la sua struttura originale. Inoltre le altre chiese di epoca medievale sottolinenano questa epoca.
Lo stile gotico è proprio rintracciabile nel palazzo che porta questo nome, che è l’edificio che oggi ospita il Comune situato nella piazza centrale con la sua caratteristica struttura con archi a curva appuntita.Il rinascimento è riconoscibile nella splendida Basilica di Santa Maria in Campagna e nel maestoso Palazzo Farnese, il barocco e il manierismo sono esemplificati nelle sculture in bronzo dei magnifici cavalli, ubicati nella piazza omonima.
Insomma Piacenza racchiude nei suoi monumenti, la storia dell'arte italiana.Oggi si presenta con centomila abitanti ed è un po’ più lenta dal punto vista imprenditoriale e industriale rispetto alla vicina Parma, alla quale fu legata nel Ducato per un paio di secoli, che è invece una delle città italiane più sviluppate da ogni punto di vista.
Un città dove si vive bene, sicura, senza episodi di forte criminalità, una città dove la gente è riservata, ma nello stesso tempo, pacifica e serena, dove la convivenza è ordinata e ben assestata.
Anche i dintorni meritano attenzione.
Molti castelli e borghi medievali abbelliscono il paesaggio collinare.
Per citarne alcuni, nella val Trebbia, l’affascinante cittadina di Bobbio con la sua abbazia e i suoi monumenti.
A una decina di chilometri dal centro della città,Il borgo medievale, ricostruito, di Grazzano Visconti con le sue botteghe artigiane e le manifestazioni storiche.
Altre due località significative che mantengono inalterato il loro carattere medievale sono Castell’Arquato e Vigoleno. Poi una serie numerosa di castelli e manieri immersi nel verde collinare, tra i quali la Rocca di Olgisio, i castelli di Paderma, di Rivalta, di Gropparello.
Un territorio incantevole che merita di essere visitato.Anche l’itinerario enogastronomico è veramente stimolante e singolare con i suoi piatti tipici della cucina emiliana.
Nel complesso Piacenza e il suo territorio è una meta turistica, da scoprire maggiormente, piena di richiami di vario aspetto dall’arte al paesaggio.
Una realtà notevole che, a mio avviso, andrebbe maggiormente valorizzata.

lunedì 19 gennaio 2015

Teatro Amilcare Ponchielli

Il teatro Amilcare Ponchielli è una struttura in cui ho partecipato più volte ad eventi e concerti.
Si tratta, a mio avviso, di uno dei teatri più affascinanti d’Italia.
L’edificio ha un storia di costruzioni, ricostruzioni, modifiche, manutenzioni e restauri che parte dal 1747 e giunge ai giorni nostri.
L’attuale struttura parte dal 1808 quando venne completamente ricostruito, perché la precedente venne interamente distrutta da un incendio.
Il progetto venne affidato a Luigi Canonica, uno degli arhitetti più importanti del periodo.
Venne chiamato teatro della Concordia a cui si aggiunse , all'inizio del nostro secolo, il nome del maggior operista cremonese, Amilcare Ponchielli.
Da subito, inoltre, vennero apportate migliorie, tra cui l'allungamento del palcoscenico, che risulta così essere uno dei maggiori d'Italia.
Nel 1824 un nuovo incendio distrugge parzialmente la struttura, che viene prontamente ripristinata per opera di altri due architetti che hanno lasciato un ricordo
nella storia dell’arte: Faustino Rodi e Luigi Voghera.
E’ stato poi acquisito dal Comune di Cremona che, dal 1986 al 1989, ha ulteriormente provveduto a lavori radicali i restauro, ripristino e adeguamento tecnologico.
All’esterno la facciata evidenzia l’importanza di questo edificio che si affaccia sul corso Vittorio Emanuele.
L’elemento architettonico costituito dal pronao, che richiama antichi templi greci, è sorretto da quattro grandi e imponenti colonne.
Entrando in questo teatro ci si trova dinanzi ad uno splendida struttura.
Dalla platea le comode poltrone in rosso danno una visuale completa e interessante, si partecipa in modo coinvolgente agli spettacoli.
Anche i palchi, la galleria e il loggione danno una visuale di grande effetto.
Oggi il Teatro A. Ponchielli, dopo i recenti lavori, appare una sala a cui è stato
restituito l’originario fascino e un palcoscenico in piena efficienza,
dotato delle più moderne tecnologie in grado di ospitare qualsiasi tipo di manifestazione:
dall’opera lirica, alle rappresentazioni teatrali, ai concerti e ogni tipo di evento.
A mio avviso questo teatro, nella sua struttura, dona emozioni di grande suggestione e aiuta a partecipare ad ogni circostanza con grande compromissione.

Loggia dei Militi

La loggia dei Militi è una antica costruzione medievale inserita nella splendida cornice di piazza del Duomo a Cremona.
E’ posta proprio all’ingresso della piazza, di fianco al palazzo comunale di cui ne è la continuazione con lo stesso stile e i caratteristici merletti.
E’ un edificio della fine del 1200 di stile gotico lombardo. Nella lapide murata sulla sua facciata sono rappresentati il gonfalone del comune ed i quattro stendardi portati rispettivamente dai cavalieri delle quattro porte della città antica: porta Pertusio, porta Ariberti, porta Natali e la porta di San Lorenzo.
Si chiama Loggia dei Militi proprio perché qui si riunivano i capitani delle milizie cittadine.
Facevano parte della "Società dei Militi" i più ricchi ed eminenti abitanti della città e del contado e i proprietari di feudi.
Tutto questo dona un’atmosfera particolare di lotta, di duelli, di “singolar tenzone”, espressioni tipiche del medioevo.
Il centro cittadino di Cremona è rimasto, infatti, inalterato nel suo impianto di borgo antico e questi monumenti ne sono il segno più evidente.
Il palazzo era destinato alle riunioni dei Militi, alla custodia delle bandiere, dei ruoli e degli statuti particolari.
La struttura è elegante, caratterizzata da un portico e due arcate ogivali sormontate da tre grandi finestre a trifore, abbellite da colonnine di marmo bianco.
Nel complesso si tratta di un bel palazzo dotato di un grande salone rettangolare con splendida vista sulla piazza.
Ora l’edificio, dopo essere stato destinato a diversi usi, ospita l’assessorato alla cultura.
Quando entro in questa piazza mi sento coinvolto in una situazione di grande armonia con la visione del Duomo e, nello steso tempo, in un clima cavalleresco tipico della società medievale.
Nel centro della città di Cremona si respira questa aria di antico che sa coinvolgere e attrarre ogni tipo di visitatore.
Un centro storico che, soprattutto nelle serate estive, con la luce soffusa del suo buon impianto di illuminazione sa regalare intense emozioni.
Attraverso i suoi monumenti di grande rilievo sa trasmettere il vissuto di generazioni passate che ancora si sentono vicine.
Mi sento quindi di consigliare questa visita per una immersione nel nostro medioevo.


Battistero

Questo Battistero, ora non più adibito al culto, è un monumento di estremo interesse situato nella cornice della famosa piazza del Duomo di Cremona.
Un struttura a pianta ottagonale dona a questo edifico una particolarità originale.
Dal punto di vista teologico gli otto lati rimandano all’ottavo giorno, il primo dopo il sabato, giorno della risurrezione e quindi collegato anche al Battesimo con il significato di vita nuova.
Il suo stile è un romanico che si fonde con il gotico lombardo. La sua edificazione risale al 1167, però nel 1553 avviene un restauro integrativo con la copertura in marmo simile a quella della cattedrale, in modo da creare armonia e simbiosi con l’attiguo Duomo.
Mi ha sempre colpito lo stretto passaggio tra queste due costruzioni, un piccolo corridoio che si inserisce in mezzo a due colossi che ti fa sentire piccolo.
Il Battistero, infatti, con la sua mole e architettura, i due leoni all’ingresso del protiro, a mio parere, assume una dimensione imponente e grandiosa.
All’interno sempre databile al periodo del 500’ è il fonte battesimale in marmo, una grande vasca in cui veniva benedetta l’acqua per i battesimi.
L’altare di San Giovanni, a cui è dedicato il tempio, è caratterizzato da un antico crocifisso del 300’.
Questo monumento, non più usato per i battesimi, è diventato oggi una piccola pinacoteca visitabile con una quota di ingresso e con degli orari.
L’impressione che mi dà il Battistero di Cremona è di una struttura armoniosa, solare che, secondo l’intenzione dei suoi realizzatori, voleva accogliere i fedeli come il battesimo accoglie i neofiti nella chiesa.
A mio avviso, questa costruzione trasmette una simbologia di accoglienza, di benvenuto, di ospitalità che realmente si percepisce entrando in queste mura.
Il battistero è, inoltre, ben inserito nel contesto della piazza e dona, a mio parere, un senso di completezza, di consonanza e simmetria con gli altri monumenti che qui si affacciano.



Cattedrale

Ci sono dimensioni culturali e storiche che, nei secoli, hanno dato vita alle cattedrali che consideriamo capolavori di arte e fede, sono testimonianza di una grande partecipazione di popolo a questa realizzazione. Infatti in ogni città il Duomo è sentito come qualcosa di proprio e rappresenta bene la storia di ogni comunità.
Anche la cattedrale di Cremona è un opera d'arte eccellente che ci trasmette un patrimonio culturale e religioso di notevole spessore.
Entrando in questa piazza medioevale sempre provo una grande emozione.
E' di grande impatto visivo la facciata della cattedrale, una struttura complessa perché frutto di una serie di rielaborazioni nel corso dei secoli. Pensate che a partire dal 1107, anno in cui è stata realizzata, fino al 1700 è stata continuamente oggetto di variazioni e mutamenti.
Quindi è, per me, un piccolo scrigno di storia.
Ricordo delle belle serate estive in questa piazza gustando un gelato sui tavolini dei locali adiacenti alla piazza, si è immersi in una atmosfera unica, si respirano secoli di storia.
Caratteristico è il suo ingresso, “Protiro", si tratta di una slanciata struttura di gusto gotico.
Suggestivi i due leoni su cui poggiano eleganti colonne e le splendide tre sculture trecentesche poste sotto gli archi della loggia che raffigurano la Madonna col Bambino affiancata dai Santi cremonesi, Imerio e Omobono.
L'elegante porticato rinascimentale che unisce la facciata della cattedrale al torrazzo si chiama La “Bertazzola, questo da un tocco veramente interessante a tutto il complesso.
Merita, inoltre, gustarsi la bellissima panoramica che si ha facendo un giro intorno alla grande costruzione, il complesso absidale è un piccolo gioiello conservato molto bene. Stupende anche le altre due facciate quella nord e quella sud.
Come potete immaginare si tratta quindi di un tempio di notevoli dimensioni, con tre facciate.
Varcando la soglia della cattedrale mi trovo sempre davanti ad un grande spettacolo di arte, non per niente è stata definita la "Cappella Sistina" della Lombardia.
Le storie della Vergine Maria e di Cristo sono raffigurate nella navata centrale in un ciclo pittorico cinquecentesco di grandissimo valore artistico, le storie dell’Antico Testamento sono presentate invece nei transetti, questi affreschi risalgono al quattrocento. La cripta, infine, è il luogo dove si conservano i corpi dei protettori della città fra cui Omobono, il santo patrono, e vi sono tumulati anche i vescovi di Cremona.
Questi cicli pittorici, oltre che essere delle grandi opere d’arte, sono dei veri e propri racconti delle vicende della Bibbia. Infatti sono stati usati nei secoli per spiegare ai fedeli gli avvenimenti della storia della cristiana, un valido sostituto dei moderni mezzi audiovisivi. Per cui si può ammirare l'opera d'arte e riprendere nella memoria la circostanza a cui si riferisce.
Se andrete rimarrete senz' altro estasiati da queste pitture oggi, dopo i recenti restauri, ben conservate.
Ho avuto la fortuna, durante gli ultimi lavori risalenti a qualche anno fa, di salire sulle impalcature per seguire da vicino il ciclo degli affreschi con una visita guidata. E' stata un'esperienza indimenticabile ...
Nel complesso posso affermare che si tratta di qualcosa di unico e grandioso che sarà veramente degno di una visita.

domenica 18 gennaio 2015

"Pei nostri fanciulli" anni Novanta, ricordi ed emozioni


Il recupero dell'Oratorio "Pei nostri fanciulli" della Parrocchia di S. Pietro al Po è stata una bella notizia che mi ha rallegrato e ha fatto riemergere tanti ricordi. Ritornando agli anni 90, con i giovani di allora, compaiono tanti momenti belli e significativi che segnano il cuore e fanno riaffiorare volti, persone e amici con cui ho condiviso un pezzo di vita.
Il "rimembrar delle passate cose", anche se provoca nostalgia, è fonte di piacere che si mescola con la tristezza del tempo che se ne va...
La mia memoria si sofferma su "Io scelgo la pace", un Recital musicale realizzato dal Gruppo Giovanile di allora, di cui ho tenuto i testi con grande affetto.
Sono frutto di un lavoro intenso e ricco di passione che ripropongo ai protagonisti di quella stagione.
Il recital si fonda su testi e canzoni.
I testi provengono per la maggior parte dal libro "Io scelgo la Pace" di Mario Delpini, mentre tra i brani musicali, che spaziano da gli U2 a Venditti, R.Zero e i Gen Rosso, ci sono anche alcuni pezzi inediti realizzati dal gruppo giovanile.

Recital "Io scelgo la pace"
Tra voci che esaltano la guerra e menti folli che la preparano, tra espressioni gratuite di violenza, frutto di noia più che di cattiveria, tra parole che invitano alla pace e braccia generose che la edificano, tra preghiere, sogni e canzoni di pace, inseriamo questa riflessione sulla pace.
E' dedicata ai ragazzi e alle ragazze che tentano l'avventura del pensare e la generosità della dedizione, come strumento per una meditazione personale e un confronto di gruppo.
Siamo convinti che la pace è una mentalità, prima che una situazione; è una scelta coraggiosa, non un privilegio del caso; è una vocazione e un dono insieme.
Il nostro sogno è che la pace, scoperta e coltivata in se stessi, si allarghi in gesti sempre più larghi, di ventando dono per tutti: chi semina la pace, la raccoglierà abbondante. La pace è così.
E’ come il pane del Vangelo: quanto più si dona e si condivide, tanto più cresce e sazia.
Arriverà il giorno in cui anche noi raccoglieremo dodici ceste di pace avanzata.


Vivo (Testo Mauro Faverzani - Musica Riccardo Tonna)
Vivo
nell’alba che si sveglia 
illuminando il volto
di nuove speranze.
Bevo
alla fonte del cuore
la gioia di essere
cli essere ancora
Note
che sì rincorrono
sul pentagramma
scandendo il ritmo
della vita
Suoni
che si intrecciano nell’armonia cli una corsa
senza fine.
Sento
il rumore di passi
che segnano con forza l’ora dell'agire.
Provo
vibranti emozioni
che cantano la nascita di un uomo nuovo.
Corse
senza confini
esprimono
il senso di un ideale.
Voci
dei nostri cuori
gridano
al mondo
ciò che noi siamo.

La menzogna ha inasprito gli animi; ha suscitato folli eroismi e insensati entusiasmi, ha condotto all'ottusa obbedienza e alla crudeltà.
E le guerre di oggi, quelle ancora non scritte, hanno ancora la menzogna per paravento: migliaia di giovani ricoprono un paese di bombe per "liberarlo" e, per "garantire la pace", si pspende quanto basterebbe per sfamare il pianeta.

Sunday Bloody Sunday (U2)
Domenica, sanguinosa domenica
Non riesco proprio a credere alle notizie di oggi
Non posso chiudere gli occhi per fingere che nulla sia successo
Ma per quanto, per quanto ancora dovremo sopportare queste cose?
Per quanto tempo? Questa sera già potremmo essere uniti
I bambini scalzi che calpestano cocci di vetro, e
I cadaveri allineati sul fondo di una strada senza uscita
Non mi faranno rifuggire il richiamo della lotta
Anche se mi sento, mi sento proprio messo con le spalle al muro.
Domenica, sanguinosa domenica.
Questa lotta è solo all’inizio
Ma ci sono già molte perdite: ma dimmi, in realtà chi ha vinto? 
Han vinto le trincee scavate nei nostri cuori
E i fratelli, i piccoli delle madri, le sorelle strappati dalla lotta
Domenica, sanguinosa domenica.
Per quanto, quanto ancora ci toccherà questa sorte?
Per quanto tempo? Questa sera potremmo già essere uniti
Si questa sera, proprio questa sera.
Domenica sanguinosa domenica.
Asciuga le lacrime dai tuoi occhi
Scuotile e allontanale
Asciugati gli occhi arrossati dal pianto.
Domenica, sanguinosa domenica.
Si, è vero, ormai siamo immuni
Visto che la realtà passa per finzione e la TV è la bibbia.
Ma oggi, sono milioni coloro che piangono
Noi mangiamo, beviamo e domani invece questi moriranno
La vera lotta è solo agli inizi
Perché dobbiamo reclamare quella vittoria che Gesù riportò 
in quella domenica, sanguinosa domenica.

Sotto la pioggia (A. Venditti) 
I carriarmati fari spenti nella notte, sotto la pioggia 
hanno lasciato strane tracce sull’asfalto, piene di sabbia.
Il presidente dietro i vetri un po’ appannati, f urna la pipa
il presidente pensa solo agli operai, sotto la pioggia..
Stanno arrivando da lontano con il futuro nella mano, sotto la pioggia
come la notte di Betlemme hanno contato nuove stelle, sotto la pioggia.
Dall’altra parte della strada come una statua s’è fermata una colomba
manda uno sguardo verso il cielo che da qui in basso sembra nero sotto la pioggia.
Sotto la pioggia batte forte il cuore ma la pioggia non ci bagna 
e due ragazzi con il loro amore stan cercando una speranza 
sotto la pioggia, stanno scaldando, quella colomba..
E piano piano volerà sulle nazioni e le città, sotto la pioggia
sopra gli oceani e le bandiere sopra le grando ciminiere, sotto la pioggia.
Dall’altra parte della strada l’ultima spada s’è spezzata dentro la roccia
sulle mie mani leggo il cielo come un riflesso arcobaleno, sotto la pioggia.
Sotto la pioggia batte forte il cuore ma la pioggia non ci bagna
i due ragazzi stanno già guardando il sole
e la luna è una speranza.
Sotto la pioggia! Sotto la pioggia! Sotto la pioggia!

Il primo passo verso la pace è, per così dire, segreto e si compie nella coscienza di ciascuno che un giorno si de cide di essere un uomo, una donna.
Una libertà, cioè, che si sente interpellata dalla verità, che sì accetta responsabile delle scelte dell’uomo e sa che nessuno lo può sostituire nell’arduo compito di essere se stesso.
Così comincia a sospettare delle parole che tutti dicono, almeno per chiedersi se abbiano un significato e quale.
La verità diventa per lui una vocazione: da cercare con il timore che suscitano le parole un po’ troppo solenni, da cercare con il desiderio e la fermezza che meritano le realtà che non deludono.


Più su (R. Zero)
E poi
di colpo eccomi qua
sarei arrivato io
in vetta al sogno mio
com’è lontano ieri.
E poi,
più in altro e ancora su
fino a sfiorare Dio
e gli domando io
“Signore perchè mi trovo qui
se non conosco amore"
Sboccia un fiore malgrado nessuno lo annaffierà mentre l’aquila fiera in segreto a morire andrà il poeta si strugge
al ricordo di una poesia questo tempo affamato consuma la mia allegria.
Canto e piango pensando che un uomo si butta via che un drogato è soltanto un malato di nostalgia che una madre si arrende e un bambino non nascerà che potremmo restare abbracciati all’eternità
E poi,
ti ritrovo qui
puntuale al posto tuo
tu spettatore vuoi
davvero
ch’io viva il sogno che
non osi dire te.
Questa vita ti sfugge se tu non la fermerai se qualcuno sorride
tu non tradirlo mai
la speranza è una musica antica un motivo in più
canterai e piangerai insieme a me dimmi lo vuoi tu Sveleremo al nemico
quel poco di lealtà
insegneremo il perdono a chi dimenticare non sa la paura che senti
è la stessa che provo io canterai e piangerai insieme a me fratello mio... 
  Più su... più su... più su...
ed io mi calerà
nel ruolo che è ormai mio
finchè ci crederà
finchè ce la farà.
Più su.. .più su... più su...
fino a sposare il blu, fino a sentire che ormai sei parte di me! Più su....

Mi venne in mente un detto che diceva di non aggiungere nero al nero, ma cercare di fare ancora più luce su quella poca che c’è già. Martin L. King fu un uomo il cui fuoco interiore non si estinse mai. Pride è un tributo a lui e a chi come lui ha contribuito con la propria umiltà a far progredire il sentire umano.  Bono
Pride U2
Orgoglio
Un uomo viene nel nome dell’amore
Un uomo viene e se ne va
Un uomo viene per giustificare
un uomo invece per cambiare le cose
Nel nome dell ‘amore
Cosi si deve fare di più
Nel nome de Il’ amore
Un altro uomo è venuto
Nel nome dell’ amore
Un uomo è rimasto intrappolato nel reticolo
Un uomo invece ancora resiste
Un uomo è stato sospinto a riva su di una spiaggia deserta
Un uomo venne tradito da un bacio
Nel nome dell’ amore
Cosa si deve fare di più
Nel nome dell’ amore
Un altro uomo è venuto
Nel nome dell’amore
E’ il 4 di aprile
Presto di mattina uno sparo echeggia nel cielo di ,Memphis
Alla fine si sono sbarazzati di te, ti han carpito la vita
perchè non erano riusciti a toglierti l’orgoglio.
Nel nome dell’ amore
Un altro uomo è andato
Nel nome dell’ amore
Un altro ancora è andato
Nel nome dell’ amore

Cercavo (Faverzani-Tonna) 
L’amore entrò nella mia vita
ma non mi lasciai ingannare
il dolore bussò alla mia porta
ed io sentii la paura
l’ambizione accese il mio orgoglio ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame cercavo un significato
per tutta la mia vita
per tutta la mia vita (bis)
E adesso so che bisogna
alzare le proprie vele
prendere i venti del destino
dovunque spingano la barca.
Partire per quali mete
dove andremo mai a finire?
Malgrado tutto ...
Dare un senso alla vita
può condurre alla follia
ma una vita senza senso
è la grande tortura
di un inquietudine nascosta
e del vano desiderio.
Malgrado tutto...

O Signore,
fà di me uno strumento della tua pace.
Dov’è odio, fa’che io porti amore.
Dov’è offesa, che io porti il perdono.
Dov’è discordia, che io porti l’unione.
Dov’è errore,che io porti la verità.
Dov’è disperazione, che io porti la speranza.
Dov’è tristezza, che io porti la gioia.
Dove sono le tenebre, che io porti la luce.
Signore,
fa che io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere;
di essere amato, quanto di amare.
Poichè è donando che si riceve;
è perdonando che si è perdonati;
è morendo che si risuscita a vita eterna. (S.Francesco d'Assisi)


Stella  (A. Venditti)
Stella che cammini
nello spazio senza fine
fermati un istante solo un attimo
e ascolta i nostri cuori
caduti in questo mondo
siamo in tanti ad aspettare
donaci la pace ai nostri simili
pane fresco da mangiare
proteggi i nostri sogni veri
dalla vita quotidiana
e salvali dall’odio e dal dolore
e a noi che siamo sempre soli
nel buio della notte.
Occhi azzurri per vedere
questo amore
grande grande grande
questo cielo
si rischiara in un istante
non andare via
lasciati cadere
stella stella mia
resta ancora
nel mio cuore!
Proteggi i nostri figli puri
nella vita quotidiana
e salvali dall’odio e dal potere!
Come il primo giorno come
nella fantasia
occhi azzurri per vedere
grande grande grande
questo cielo
si rischiara in un istante
non andare via
non ci abbandonare
stella stella mia
resta sempre nel mio cuore!

La luna (Dal Recital "Forza venite gente") 
Luna luna là
che solitaria in cielo stai e tutto vedi e nulla sai...
Luna luna là
che sui confini nostri vai
e fronti e limiti non hai
e tutti noi
uguali fai...
Tu che risplendi
sui nostri visi bianchi e neri tu che ispiri
e diffondi
uguali brividi e pensieri 
fra tutti noi quaggiù...
Luna luna là
mantello bianco di pietà 
presenza muta di ogni Dio 
del suo del mio
del Dio che sa
Tu che fai luce
all’uomo errante in ogni via 
dacci pace, la tua pace, 
la bianca pace e così sia, per questa umanità.
(Coro) Bianca luna, bianca luna...
 
I giornali hanno preso l’abitudine di insinuare
sospetti su tutti e di appassionarsi soprattutto
delle cattive notizie.
Del resto, è vero che è il male a fare notizia; al
bene tocca invece di conservare la vita, su questo
splendido pianeta, senza fare rumore.
Agli amici della pace tocca ricordare, per sè e
per gli altri, che il bene c’è, è più grande, è più
bello, è più forte del male.
Del resto, i buoni fanno il bene non per cercarsi
uno spazio sui giornali, ma perché amano il bene,
ci credono, e sono disposti a pagarne il
prezzo.
Perciò è come un cieco colui che vede solo il male
e spreca il suo tempo in vani lamenti e in sterile
stupore “per come è diventato il mondo”.
Il mondo è bello e l’uomo può farlo migliore.
Ma occorre notare il bene che c’è e seminare di
fiducia gli animi incerti del nostro tempo. Questa
è vera carità.
Chi crede nel bene non teme il domani, ed anzi è
affascinato dal pensiero che la sua vita non è un
caso, ma una vocazione.
E che lui non è un punto d’arrivo di una storia che
è stanca di se stessa, ma può essere un punto di
partenza.


Un'altra umanità (Gen Rosso)
‘Ma dove andremo a finire
se continua così?
- si sente spesso dire
dalla gente qua e là —
continua violenza,
scandali, imbrogli e mali:
dove son finiti i veri, grandi ideali?” 
E'vero il mondo oggi
si dipinge a tinte scure,
si esaltano gli equivoci
le scene crude e dure,
soldi e facili successi
col piglia, usa e getta.
Però mi si permetta:
non è questa la sola umanità. 
Conosco un’altra umanità
quella che spesso incontro per la strada; quella che non grida,
quella che non schiaccia
per emergere sull’altra gente. Conosco un’altra umanità
quella che non sa
rubare per avere,
ma sarà contenta
di guadagnare il pane
con il suo sudore.

Credo, credo in questa umanità. 
Credo, credo in questa umanità
che vive nel silenzio,
che ancora sa arrossire
sa abbassare gli occhi
sa scusare.
questa è l’umanità
che mi fa sperare.
Conosco un’altra umanità
quella che ora va controcorrente; quella che sa dare
anche l. sua vita
per morire per la propria gente. Conosco un’altra umanità
quella che non cerca mai
il suo posto al sole
quando sa che al mondo
per miseria e fame
tanta gente muore. 
 
Credo, credo ìn questa umanità. 
Credo, credo in questa umanità
che abbatte le frontiere,
che paga di persona,
che non usa armi,
ma sa usare il cuore.
questa è l’umanità
che crede nell’amore.

Nessuno è senza colpa, ma la guerra comincia quando non si vede negli altri che il male commesso.
Di tanti uomini e pensieri si fa un’astrazione.
Un popolo, uno Stato che ha tutte le colpe.
Anche le piccole guerre senz’armi, che dividono famiglie, rendono opprimente la scuola o la fabbrica, cominciano così: una lite che è tutta colpa degli altri.
Perciò chi ama la pace è disposto all’umiltà e sì valuta senza menzogne e riconosce che ogni litigio è sempre colpa di tutti e due. Per questo chiede scusa.
Chiede scusa persino delle parole vere, che però furono dette senza carità, senza pensare, senza discrezione.
Chiede scusa persino del bene, quando è stato imposto come una umiliazione, come un modo di mettere in mostra se stessi.
Chiede scusa dei malintesi, anche se furono soprattutto colpa degli altri, perché sa che non tocca a lui dare colpe e assoluzioni e perché non fa del suo amor proprio il centro del mondo: gli sta più a cuore un’amicizia che un’affermazione di sé, un’intesa, più che una vittoria.
Chiedere scusa significa non rassegnarsi mai a considerare un uomo come un nemico; significa credere che, per quanto diversi, per quanto grave possa essere stata la rottura, c’è sempre la possibilità di spiegarsi, di intendersi, di ridimensionare un episodio.
Sempre c’è la possibilità di finire una storia di dispetti e cattiverie in un abbraccio che apra la vita alla comprensione e perfino all’amicizia.

No violence (Gen Rosso)
Ora sei qui
dopo giorni di stress in città,
cerchi anche tu
le tue ore di serenità.
Fischia 1’arbitro e.. .via!
L’emozione ti dà
una grande euforia,
non sai come finirà;
hai voglia di gridare:
Oh, oh, oh,
Oh, oh, oh
Questo è un gioco, lo sai
non scaldarti di più.
Per chiunque vincerà
puoi cantare con noi.
Oh, oh, oh,
Oh, oh, oh
Vogliamo che
questo stadio non diventi un ring,
la civiltà della pace comincia da qui. 
Le due squadre laggiù
non dividano mai,
l’amicizia così
potrà dare anche a noi
un giorno più sereno.
Oh, oh, oh,
Oh, oh, oh
Questo mondo non avrà
più barriere se lo sport
per la pace costruirà
una strada già fra noi.
Oh, oh, oh,
Oh, oh, oh

Amico (Faverzani- Tonna) 
Credo in te, amico
credo nel tuo sorriso. 
Credo nel tuo sguardo
riflesso della tua onestà.
Credo nelle tue lacrime 
segno che condividi 
la gioia e la tristezza 
del mio cuore.
"Nessuno ha un amore
più grande di questo:
dare la propria vita
per gli amici.”
Credo nella tua mano
tesa per dare e ricevere. 
Credo nel tuo abbraccio 
sincero come il tuo cuore.
Credo nelle tue parole 
segno di quei che ami 
e della speranza
che c’è in te, amico
“Nessuno ha un amore
più grande di questo:
dare la propria vita
per gli amici.”

Pace!
Da sempre attesa, da sempre sperata, come si attende la pioggia
sulla terra assetata
dopo mesi di arsura.
La pace verrà
e fiorirà dalle nostre mani,
se avrà trovato posto già dentro di noi. E verrà presto, domani,
se sapremo fare nostre
le necessità di chi vive
o passa accanto a noi.
Se sapremo far nostro il grido degli innocenti. Se sapremo far nostra l’angoscia degli oppressi. 
Pace!
Da sempre amata, da sempre desiderata, come si desiderano le voci
della propria casa lontana.
La pace verrà
se avremo posto nella nostra casa
per chi non ha un tetto e non ha patria.
Se avremo post o nel nostro cuore
per chi non ha affetto o muore solo.
Se avremo tempo nel nostro giorno
per un disperato da ascoltare.
Pace!
Da sempre sospirata, da sempre cercata, come si cerca il perdono
sulle labbra del padre mentre muore. La pace verrà
se non cederemo alla provocazione.
Se sapremo sanare ogni divisione.
Se saremo uniti con tutti:
uniti per la vita, contro la morte.
Pace!
Da sempre amata, da sempre attesa,
come si attende un dono
nei giorni di festa.
La pace verrà
e sarà un dono di Dio.
La pace verrà e sarà
il frutto più Vero dell’unità,
dell’armonia tra i popoli.

Hopes of peace (Gen Rosso)
Senti il cuore della tua città:
batte nella notte intorno a te
sembra una canzone muta che
cerca un'alba di serenità.
Semina la pace e tu vedrai
che la tua speranza rivivrà
spine tra le mani piangerai
ma un mondo nuovo nascerà. (2v)
Sì, nascerà il mondo della pace,
di guerra non si parlerà mai più.
La pace è un dono che la vita ci darà,
un sogno che si avvererà.

Open wide the vision of your world,
feel the love that reigns in everything;
now is your chance to start again,
breathe in hopes of peace, of light, of love.

Abre el horizonte entorno a ti,
siente el latido del amor;
ahora es el momento de empezar
una senda de paz, de luz y de amor.

Semina la pace e tu vedrai
che la tua speranza rivivrà
spine tra le mani piangerai
ma un mondo nuovo nascerà. (2v)

Un mondo nuovo nascerà.


Cremona da vivere

 
Cremona, (Cremùna in cremonese) è una città lombarda di circa 73.000 abitanti, capoluogo della provincia omonima. 
La città si trova nel cuore della Pianura Padana, poco distante dalle rive del fiume Po. 
È scherzosamente nota come la "città delle tre T", ossia turòon, Turàs, tetàs (torrone, Torrazzo, tettone). 
In tempi recenti e con l'intento di onorare un cremonese illustre e conosciutissimo ad un pubblico che si vuole sempre più vasto, la terza "T" viene spesso sostituita con il nome di Tognazzi, il celebre attore cremonese: "Torrone, Torrazzo, Tognazzi ("Tugnàss") - anche in dialetto.
Viene attualmente riconosciuta come una delle città europee con il centro storico medievale meglio conservato.

LA CITTA'
Raccontare Cremona in poche righe non è affatto semplice. 
È una città da visitare e da vivere e che si presta ad essere esplorata seguendo itinerari diversi. La monumentalità di Cremona si concentra nella piazza del Comune, una delle più maestose d'Italia dove è possibile ammirare la loggia dei Militi e il palazzo del Comune, entrambi duecenteschi, dai profondi portici. 
Ma il vero protagonista del grande spazio pubblico è il Torrazzo, la torre campanaria che dai suoi 111 metri veglia sulla città accanto al Duomo e al Battistero. Visitare Cremona significa anche immergersi nell'atmosfera artigianale delle botteghe dei liutai. 
Prestigiosa è l'esposizione dei violini conservati nel Palazzo Comunale, che annovera alcuni tra i capolavori della scuola liutaria cremonese, è il necessario complemento della visita al Museo Stradivariano e permette di visitare anche le antiche sale del palazzo stesso.

IMMERSA NELLA PIANURA PADANA
La distribuzione della vegetazione boschiva della pianura cremonese è legata proprio al suo fiume, il Po, alle oscillazioni delle sue portate d'acqua.
Le aree periodicamente sommerse sono caratterizzate da varie specie di salici arbustivi. 
Nelle fasce in cui le piene hanno incidenza minore ha inizio invece il saliceto arborescente, dominato da salice bianco.
Allontanandosi ancora dal fiume la struttura diventa più complessa e si trovano pioppo nero e pioppo bianco misti ad olmi e, quando le condizioni sono favorevoli, anche al frassino maggiore, mentre al margine si addensano numerosi arbusti.
Caratteristica tipica di questo paesaggio padana è la distribuzione di lunghi filare di pioppi che costeggiano il fiume.

LA GASTRONOMIA
Due sono i simboli della tradizione culinaria di Cremona: il torrone e la mostarda. Ma anche i prodotti delle radici della cultura contadina e in particolare la produzione di salumi e formaggi.
Tra i salumi ricordiamo il Salame Cremona IGP (Identificazione Geografica Protetta), dall'impasto morbido e delicatamente profumato all'aglio, il Cotechino Vaniglia, così chiamato per il sapore particolarmente dolce, e il Salame da pentola, che è poi uno degli ingredienti del Gran Bollito Cremonese. 
Tra i formaggi si ricordano in particolare il Grana Padano, il Provolone Valpadana e il Salva Cremasco: tutti e tre hanno ricevuto il riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta).

TRASPORTI
A Cremona in mezz'ora a piedi si può passare da un estremo all'altro del centro storico. 
Non c'è la metropolitana, ma neanche se ne sente la necessità. 
È una piccola città di 70.000 abitanti non di 3 milioni come Roma. 
Gli autobus vengono usati solo per i collegamenti extra urbani con i paesi limitrofi o con i vari centri commerciali, in centro sono molto frequenti gli spostamenti in bicicletta. 
Fin quando si vive in città nessun problema, ma se capita di prendere un treno per andare a Milano, anche se i collegamenti sono abbastanza buoni, si può avvertire qualche disagio.

ABITABILITA'
E' senz'altro una città a misura d'uomo dove si possono trovare buone abitazioni sia nel centro, sia nella zona residenziale.
I servizi (istruzione, sanità, ecc..)funzionano in maniera positiva, rispecchiando la media delle altre città similari.
La dimensione piccola di città accentua il suo carattere "provinciale" . 
Però iniziative manifestazioni di vario tipo, organizzate dagli enti locali pubblici e privati, che consistono in mostre, fiere e altre manifestazioni culturali e ricreative cercano di vivacizzarla.
La criminalità è abbastanza ridotta, e questo da un senso di tranquillità rispetto alle grandi città.

Quindi tutto sommato si può vivere bene.

sabato 17 gennaio 2015

Palazzo Comunale

Della Cremona medioevale il palazzo comunale ne è un tipico esempio.
Infatti la sua struttura è rimasta pressoché inalterata.
E’ una costruzione sorta a partire dal 1206. 
Nel 1245 fu ampliato con l’aggiunta di tre ali che delimitano il cortile interno. 
A partire dalla metà del XV secolo fino al rinnovato prospetto del 1840, per opera di Luigi Voghera, il palazzo ha subito altri interventi.
Però si è sempre salvaguardato lo stile inconfondibile del periodo medioevale.
All’interno sono presenti decorazioni risalenti al cinquecento che abbelliscono diverse sale,
come la sala della Giunta e la Sala dei violini.

In questa sala sono presenti i pezzi più importanti della liuteria cremonese.
I preziosi violini sono opera di grandi maestri: il 'Carlo IX di Francia' (1566) di Andrea Amati, la viola 'Stauffer 1615' di Antonio e Gerolamo Amati, l''Hammerle' (1658) di Nicolò Amati, il 'Quarestani' del 1689 di Giuseppe Guarneri figlio di Andrea, il 'Cremonese 1715' di Antonio Stradivari, lo 'Stauffer 1734' di Giuseppe Guarneri detto del Gesù, il violino 'Clisbee' (1669)di Antonio Stradivari, il violino 'Lo Stauffer' (1868) di Enrico Ceruti, il violino del 1941 di Simone Ferdinando Sacconi.
Questa sala che ho avuto modo di visitare più volte, essendo originario di questa città, è veramente magica e suggestiva perché si è a stretto contatto con degli strumenti ammirati e conosciuto in tutto il mondo.
Nel complesso questo palazzo, inserito magnificamente nella piazza centrale di Cremona, insieme al Torrazzo, al Duomo,al Battistero e alla Loggia dei Militi dona a questo contesto un fascino particolare e unico.
Sono cinque monumenti che, in questo ambiente, si accompagnano armoniosamente e presentano allo sguardo, che non finisce mai di stupirsi, una delle più belle piazze medievali d’Italia.


Storia di Calvatone








Calvatone un piccolo paese in provincia di Cremona ai confini con il Mantovano, racchiude, grazie ai suoi scavi archeologici, una storia molto interessante e riferita soprattutto al periodo romano. Si tratta di vicende storiche che aiutano meglio a comprendere le fondazioni delle città romane di Cremona e Piacenza. Lo studio, qui presentato, è a firma dell'illustre calvatonese, maestro Ferdinando Breda, pubblicato dal blog della Pro Loco Bedriacum.
La storia più antica di Calvatone è tradizionalmente collegata a quella del castrum romano di Bedriacum.
Non tutti sanno però che, prima di questo, in località Dosso di S. Andrea, esisteva già un villaggio dell’età del bronzo (1500 a.C.) di cui sono stati trovati interessanti resti, durante gli scavi del 1919-20, realizzati dall’archeologo G. Patroni. In età storica, arrivarono i Celti: il nome Bedriaco deriverebbe dalla loro lingua e significherebbe ‘CASTORO’.

Nel 148 a.C., dopo aver sconfitto i Celti, i Romani costruirono la Via Postumia e nel territorio della colonia romana si sviluppò il centro di Bedriacum. L’importanza dei ritrovamenti indicano Bedriacum come un importante vicus romano sviluppatosi, appunto, intorno alla seconda metà del II secolo a. C.; la sua felice posizione (tra la via Postumia e il fiume Oglio) sarà la causa principale del suo fiorente sviluppo come centro commerciale. Il vicus è ricordato da numerosi autori antichi, come Svetonio o Tacito, in quanto teatro, nel 69 d.C., delle sanguinose battaglie tra Otone, Vitellio e Vespasiano. Bedriaco è segnato anche sulla Tabula Peutingeriana, la copia medievale di una delle carte geografiche più antiche che si conoscano, databile al IV sec a.C.
Il centro fu fiorente per molti secoli; il suo declino e quindi lo spopolamento, iniziarono solamente a partire dal V sec d.C.
All’arrivo dei barbari, in particolare, gli abitanti del castrum furono costretti ad abbandonare le loro case per cercare rifugio in luoghi più sicuri.
Così, nel luogo dove precedentemente sorgeva l’accampamento di Otone (CASTRUM OTHONIS), edificato nel 69 d.C., durante la guerra civile, sorse il nuovo borgo: Calvatone.
In questo territorio, si insediarono i Longobardi, che governarono per circa 2 secoli. Quando la regina Teodolinda si convertì alla fede cattolica, i longobardi diventarono anche uomini di pace e l’ultimo dei loro re, Desiderio, donò una parte del territorio calvatonese al Monastero bresciano di Santa Giulia.
Non esistono documenti veramente antichi su Calvatone: quello più antico risale al 759 e riguarda una vendita di beni. Tuttavia, gli storici identificano Calvatone con la località di PISSERISSE o BISSARISSU, nomi che troviamo nel Diploma (cioè un decreto reale) del re longobardo Desiderio, uno scritto risalente a circa 12 secoli fa. In particolare, si tratterebbe della località di Santa Maria in Picilesco.  

Risulta, quindi, che nel 760 il territorio calvatonese era soggetto ai Longobardi e che una parte di esso, come detto, fu venduta al monastero di S. Salvatore (poi Santa Giulia), fatto costruire a Brescia dallo stesso Desiderio. Il nome ‘Calvatone’, invece, compare solo nel 905 in un polittico in possesso del Monastero, nel quale vengono descritte le sue proprietà.
Il paese si trova ancora nella medesima situazione nel 1107: in quell’anno esistono, come apprendiamo dai documenti, due Chiese, quella di Santa Giulia e quella di Santa Maria. Nel 1187, risulta la presenza di una terza Chiesa: quella di S. Biagio e, infine, compare la Chiesa di S. Bernardino, che si trovava nel cortile dell’attuale oratorio: è documentato che questa fu la parrocchiale a partire dal sec. 1500 fino alla costruzione dell’attuale.

Dal diploma dell’Imperatore Federico I (il Barbarossa), risulta inoltre la presenza, nel 1183, di un Castello: stava sopra un terrazzamento, ora demolito per far posto al campo sportivo e la Chiesa di Santa Giulia, si trovava proprio accanto a questa costruzione.
Nel 1200 Calvatone era organizzato come comune rurale che aveva una propria amministrazione ed era soggetto al controllo del Monastero, il quale, se occorreva, interveniva a tutelare i diritti dei calvatonesi.
Nel 1267, cremonesi e bresciani litigano per il possesso dell’Oglio: la battaglia tra i Cavalcabò, con i guelfi cremonesi, da una parte, e i Bresciani di Martinengo, con i mantovani di Sordello, dall’altra, coinvolge la regona calvatonese. Vincono i Bresciani: Francesco Cavalcabò rimane ferito e viene portato al Castellazzo, dove muore.

Anno 1308: i guelfi bresciani si uniscono a quelli mantovani. Partono da Asola e invadono il cremonese. Calvatone è saccheggiato e quasi distrutto.
Questi sono solo due esempi della forte litigiosità che si manifestava tra città e paesi vicini: il territorio di Calvatone, confinante con il fiume, vi si trovava spesso coinvolto. Era quindi necessario sorvegliare l’Oglio, verso Acquanegra: ecco perché sorsero, in paese, il CASTELLO e il CASTELLETTO e, verso Mosio, il CASTELLAZZO. Erano modeste rocche che innalzate sopra un terrapieno.
Nel 1400, il monastero entra in crisi per la perdita delle sue funzioni politiche e la decadenza dei valori morali e religiosi. Calvatone acquista, cosi, i territori prima proprietà della Chiesa. Pur conservando l’autonomia amministrativa ed economica, il paese era però costretto a seguire, dal lato politico, le sorti di Cremona.
Nel 1441, i Visconti danno in dono il cremonese a Bianca Maria che andava sposa a Francesco Sforza.
Nel 1488 un conte bresciano, ferito nella guerra viscontea, fece voto che, se fosse guarito, avrebbe eretto un grande santuario alla Vergine. Ecco allora nascere, a Calvatone, un’altra chiesa, insieme al convento dei francescani, soppresso poi dalla Repubblica Cisalpina, nel 1798. In via Santa Maria si insediarono anche i frati domenicani di Cremona, probabilmente nel XVI secolo; il convento era situato nell’attuale cascina Gorni e possedeva 887 pertiche di terreno. Fu soppresso anch’esso nel 1808.
Alla fine del 1590, anno della visita pastorale di Papa Gregorio IV, Calvatone aveva, quindi, ben 5 chiese e la loro presenza ci fa supporre che la popolazione dovesse essere abbastanza numerosa. Questa popolazione venne, però, drasticamente decimata e ridotta nel 1630, anno tristemente noto per il flagello della pesta bubbonica che colpì anche questa zona.
Morto Francesco Sforza, nel 1535, il cremonese subì il dominio spagnolo, durato più di un secolo e mezzo, fino al 1711, quando passò sotto la dominazione austriaca, che iniziò con Carlo VI d’Austria.
In questo periodo, Calvatone fu concesso in feudo ad un comandante spagnolo: Gian Battista Castaldi. Ne ricorda ancora il nome l’omonimo vicolo.

Durante il dominio austriaco, l’ Imperatore nominò, nel 1714, Sforza Picenardi, Marchese di Calvatone, riconoscendo, in questo modo, il prestigio del paese, considerato degno del rango di Marchesato.
Durante il regno di Maria Teresa d’Austria, fu compilato il catasto dei terreni e Calvatone fu diviso in particelle numerate. Nel 1790 fu eseguito il rettifilo del fiume Oglio: in tal modo l’ansa delle Bine restò alla parte destra del fiume.
Durante il periodo napoleonico, infine, il paese subì la dominazione francese (1796: Repubblica Francese, 1797: Repubblica Cisalpina, 1802: Repubblica Italica, 1805: Regno d’Italia). Sconfitto Napoleone, tornarono gli austriaci.
Nel 1859, dopo la Seconda Guerra d’Indipendenza, Calvatone fu annesso al Regno di Vittorio Emanuele II.
Come abbiamo potuto vedere, quindi, il piccolo paese di Calvatone ha una storia importante, attestata dai documenti; una storia che vale la pena di essere ricordata.