lunedì 30 marzo 2015

La leggenda di Zanen de la Bala, eroe di Cremona


In epoca medievale, Cremona era sottoposta al dominio del Sacro Romano Impero e pagava ogni anno all’imperatore una tassa consistente in una palla d’oro di cinque chili.
La vicenda è sintetizzata in Welfare Cremona Network nelle pagine di storia che così prosegue:
"Per liberare la città da questo tributo, i cremonesi delegarono come loro rappresentante un giovane gonfaloniere maggiore della città di nome Giovanni Baldesio, a combattere contro il figlio dell’imperatore Enrico IV per emancipare la città.. In caso di vittoria del giovane cremonese, la città sarebbe stata liberata dall’onere. Così avvenne e l’imperatore lasciò libera Cremona che, nel giro di qualche anno, divenne libero comune. I cremonesi, come riconoscimento, diedere in sposa a Giovanni la bella e giovane Berta de Zoli che gli portò in dote ricche proprietà terriere. La storia di Giovanni Baldesio detto popolarmente Zanen de la bala, è ancor oggi ricordata dall'emblema di Cremona conservato sotto il portico della Loggia dei Militi e dal simbolo che compare nello stemma comunale: un braccio con la palla e la scritta “fortitudo mea in brachio”.
L'emblema di Cremona conservato sotto la Loggia dei Militi dà l'occasione per riportare due leggende legate alle origini della città: una più antica che ritiene Ercole il mitico fondatore di Cremona (ai lati dell'emblema si osservano infatti due statue del mitico eroe), l'altra legata a Giovanni Baldesio, eroe cremonese dell'undicesimo secolo".

venerdì 27 marzo 2015

Le origini di Soncino nel cremonese

Interessante l'analisi storica del portale Welfare Cremona Network, dove si affrontano le origini ancora misteriose dell'antico borgo di Soncino
Partendo dalla preistoria, si arriva al periodo celtico e romano. Lo studio prosegue per tutto il medioevo fino a giungere al 1500 con l'arrivo degli spagnoli. 
Si tratta di una pagina ricca di notizie significative che aiutano a meglio comprendere la realtà di un territorio denso di storia.

Alcuni ritrovamenti archeologici sporadici (punte di freccia, raschiatoi in selce e un tesoretto in bronzo e rame) possono solo presumere un passaggio, un transito di popolazioni preistoriche attraverso il territorio soncinese, che in quest'epoca (dal periodo neolitico all'inizio dell'età del ferro) era bagnato dalle acque paludose del lago girondo (o gerundo). Il dosso su cui sorge l'odierno centro storico di Soncino doveva allora emergere dalle acque e, quindi, poteva essere un luogo molto ben protetto e sicuro.
L'arrivo dei celti (V-III secolo a.C.) coincide, probabilmente, con la nascita di una zona di confine. Inizialmente tra i celti e gli etruschi, che erano per lo più stanziati sulla sponda bresciana e mantovana del fiume Oglio. In seguito l'Oglio fu confine per due popolazioni celtiche gli Insubri ed i Cenomani.
Risalgono all'epoca romana (II secolo a.C.-IV secolo d.C.) numerosi ritrovamenti di materiale laterizio oltre che due ville ed alcune fornaci sempre nella zona settentrionale del comune di Soncino presso la frazione di Gallignano, che sembra essere la prima veramente abitata. Questo perché si trova ad un'altitudine superiore e, quindi, non interessata dalle acque del Lago Girondo. Anche in questo periodo il territorio soncinese si trova lungo una zona di confine, infatti è ancora incerto se appartenesse alla regione augustea X (Venetia) o XI (transpadana). L'invasione delle popolazioni germaniche che provocò la caduta dell'Impero Romano, coincide con il periodo tradizionale della fondazione di Soncino. Secondo i principali storici soncinesi furono i Goti, una popolazione di origine germanica, a stabilie un primo insediamento sul dosso attuale. Lo stesso toponimo Soncino pare sia di ascendenza germanica e significherebbe "re delle acque". Non si sono, però, trovati resti materiali, né si possiedono fonti documentarie che attestino questa tradizione.
All'epoca delle invasioni ungare (IX-X secolo) nel Nord Italia si assiste alla nascita di numerose fortificazioni, fenomeno che probabilmente ha interessato anche Soncino,determinando una progressiva frammentazione del territorio. Il 1118 è una data fondamentale, infatti Soncino viene istituito a "borgo franco" segnando il passaggio dalla zona d'influenza bergamasca a quella cremonese. Questa istituzione comporta una notevole espansione demografica ed economica. Il controllo dell'attraversamento del fiume Oglio permette di incamerare notevoli ricchezze. Incominciarono, però, i violenti contrasti con i bresciani che nel 1118 fondarono il borgo franco di Orzinuovi per limitare il potere cremonese nella zona.
Nel XIII secolo, sotto la guida di Buoso da Dovara, avviene la prima importante militarizzazione di Soncino. Viene risistemata la vecchia rocca e si costruisce interamente in muratura la cinta muraria. È uno dei periodi più floridi di Soncino, così come in gran parte dei comuni del Nord Italia. L'aumento della ricchezza consente anche migliorie dal punto di vista dei pubblici servizi come la grandiosa costruzione del sistema idrico-fognario che permette anche il funzionamento dei numerosi mulini.
Con il privilegio del 1311 Soncino viene sottoposto direttamente all'Impero (diventa terra separata) senza il controllo di nessuna altra città, come lo era stato prima con Cremona. È il periodo, quindi, di maggiore indipendenza. I privilegi concessi erano di natura prettamente economica che intendevano favorire l'espansione commerciale di questo territorio. Nel 1313 lo stesso Enrico VII, con diploma imperiale, investe in feudo Soncino a Giovanni I conte del Forese. Un'infeudazione più sulla carta che reale e, certamente, non impedì l'assoluta indipendenza e libertà della comunità soncinese.
Nel periodo visconteo (1385-1454) Soncino diventa la più importante roccaforte di difesa lungo la linea di confine del fiume Oglio tra Milano Milà e Venezia Venesia. Per ben tre volte nel XV secolo la Repubblica di Venezia riuscì ad impadronirsi di Soncino, dando sempre prova di buon governo. Si sviluppa grandemente l'attività imprenditoriale sia con la famiglia degli ebrei che con alcune famiglie locali, soprattutto Amadoni e Azzanelli continuando anche nel secolo XVI. Ciò permette una diffusione maggiore dei famosi pannilana soncinesi, ormai richiesti su tutti i mercati europei.
La seconda grande militarizzazione del borgo soncinese avviene nell'epoca sforzesca (1454-1536) con il rifacimento completo della cerchia muraria e con la costruzione della nuova rocca. Gli Sforza ebbero grande considerazione di Soncino per la sua posizione strategicamente importante all'interno dello scacchiere militare dell'Italia settentrionale, per questo lo dotarono di imponenti strutture difensive.
Con l'arrivo degli spagnoli (1536) inizia il periodo di decadenza del comune soncinese. L'infeudazione ad opera di Carlo V in favore dei marchesi Stampa limita i numerosi privilegi avuti nei secoli passati da Soncino. Lo stanziamento di numerose truppe militari spagnole contribuisce, inoltre, all'impoverimento del territorio ed alla progressiva e costante perdita di vitalità economica. Tra il XVIII e la prima metà del XIX secolo avviene la completa smilitarizzazione ad opera prima degli austriaci mediante l'abbattimento delle quattro porte medioevali e poi di Napoleone. Questi ultimi avvenimenti determinarono la fine della storia indipendente del borgo soncinese. 
http://www.welfarenetwork.it/cremona-la-storia-del-comune-di-soncino-20140823/


Alla scoperta di Cremona

Ho trovato interessante la rubrica turistica-culturale "Pronti Partenza ...Via" che presenta, su Youtube, la storia della città con il suo aggancio fondamentale alla musica.
Cremona è la città della musica: ha dato i natali a Claudio Monteverdi ed Amilcare Ponchielli ed è stato il centro che a metà del cinquecento ha visto nascere il violino.
La città è stata insignita nel 2012 del titolo di "città liutaia" inserita nella lista UNESCO del patrimonio culturale immateriale dell'umanità. Cremona ospita ancora oggi un centinaio di botteghe di liuteria dove gli artigiani lavorano con pazienza alla costruzione degli strumenti ad arco, portando avanti la tradizione iniziata dalle storiche famiglie Amati, Guarneri e dal celebre cremonese Antonio Stradivari.
Il nuovo museo del violino raccoglie numerosi violini originali seicenteschi e settecenteschi oltre ad un percorso attraverso la storia della liuteria fino ai giorni nostri.
Accanto al violino, un altro simbolo della città è il Torrazzo, la torre campanaria in mattoni più alta d'Europa che sorge accanto alla Cattedrale, nel cuore della città.


mercoledì 25 marzo 2015

Il santo martire Antonino di Piacenza

La città gemella, per le origini romane, di Cremona è Piacenza della quale il santo protettore è un giovane Legionario romano di nome Antonino.
La stupenda Basilica dedicata al Santo ricorda la sua vita ed è un patrimonio artistico e architettonico da scoprire.

CONTINUA


















sabato 21 marzo 2015

Cabrino Fondulo con il Papa e l'Imperatore sul Torrazzo di Cremona


CABRINO FONDULO (1370 - 1425) è stato un interessante personaggio storico del Cremonese.
Conte di Soncino e marchese di Castelleone.
Signore di Cremona, Soresina, Robecco d’Oglio, Piadena, San Giovanni in Croce, Castelnuovo Bocca d’Adda, Maccastorna, Fidenza, Pizzighettone, Casalmaggiore, Castelleone e Gabbioneta.
Brevemente la sua biografia si può leggere su Treccani.it che sinteticamente ne tratteggia la sua figura:
"Capitano di ventura al servizio di Ugolino Cavalcabò, Signore di Cremona, contro i Ghibellini; approfittando della discordia tra questo e il nipote Carlo Cavalcabò, si impadronì della città (1406).
Ottenne, dai Visconti, il titolo di conte di Soncino (1408), nonché la nomina a vicario imperiale in Cremona e la conferma del titolo di conte di Soncino, col marchesato di Castelleone (1413), dall'imperatore Sigismondo, che accolse magnificamente nella sua città insieme all'antipapa Giovanni XXIII.
Sotto la minaccia di Pandolfo Malatesta, si piegò ai Visconti accettando da essi l'investitura di conte di Cremona (1415).
Accordatosi poi col Malatesta, tentò di ribellarsi al dominio visconteo, ma dopo un assedio del Carmagnola fu costretto a cedere la città, conservando solo Castelleone (1420).
Accusato di tradimento, fu fatto decapitare da Filippo Maria Visconti."
Dunque una vita intensa e drammatica piena di colpi di scena.
Ho ritrovato su Provincia.it una ristampa di un numero del 1961 dove si parla dell'incontro di Cabrino con il Papa e l'Imperatore a Cremona.
Il pensiero, in quel momento, che frulla nella testa a Cabrino è quello di buttare entrambi, Papa e Imperatore, giù dal Torrazzo, un evento che avrebbe potuto cambiare il corso della storia....
...Nel dicembre convenivano a Lodi (per ragioni politiche e religiose da risolversi successivamente al Concilio ecumenico di Costanza) invitati da Giovanni Vignati che chiedeva protezione contro il Duca di Milano, il Papa Giovanni XXIII e l'Imperatore Sigismondo di Lussemburgo. 
Erano giunti con un gran seguito di cardinali e di principi e qui rimasero circa un mese raggiungendo poi Cremona dove erano attesi da Cabrino. 
La precisa dato in cui il Papa e l'Imperatore siano arrivati né quando poi ripartirono, è incerta. 
Lo storico Agnelli accertò la partenza da Lodi il 3 gennaio 1414, il Campi il 13 e sembra che questa data sia l'esatta, sebbene un altro storico accenni ad una sosta fatta dal Pontefice di un giorno ed una notte nella Rocca di Castelnuovo Bocca d'Adda. 
Il congresso, iniziato a Lodi, terminò a Cremona portando a termine progetti e trattative. 
Per otto giorni Giovanni XXIII e Sigismondo di Lussemburgo si trattennero. 
L' Imperatore aveva osservato con curiosità il gran numero di torri che si ergevano al sommo delle chiese ed anche da non pochi palazzi cittadini, ma maggiormente l'aveva colpito l'imponente mole del Torrazzo ergentesi sulla piazza maggiore e di fianco al Duomo. 
Cabrino, venuto a conoscenza di ciò, nel numero dei banchetti offerti ai due coronati che in quel tempo erano definiti i Capi dell' Europa Cristiana, incluse quello che doveva avvenire sul ciglione dell'ammirato Torrazzo e ciò fu accettato degli augusti ospiti.
Nella salita che non è facile ma neppur tanto faticosa, Cabrino ha poche parole coi convitati. 
Sulla sua fronte si disegnano rughe perché un pensiero lo tormenta: 
« Buttarli giù... è tanto facile. Un'occasione come questa non mi capiterà più... Due urli due tonfi... due corpi sfracellati sul lastrico . Scendere giù nella piazza... chiamare i miei a raccolta .. correre a Milano... il Ducato nelle mie mani... Tutta I' Italia mia L'attenzione di tutta I' Europa su di me... ».


mercoledì 18 marzo 2015

Il Torrazzo, storia e arte


"All’anno 1284 Antonio Campi nel suo Cremona Fedelissima (1585) scrive «L’altissima, e bellissima Torre del Duomo, detta comunemente il Torraccio, fu quello anno secondo alcuni principiata da Guelfi, et in due anni finita; altri (il che pare più verisimile) vogliono che fusse edificata la parte quadra molto prima, e che in questo tempo fusse poi fatta dalla quadra in sù...».
Ma, aggiungeva il Campi, non essendovi «scrittura autentica» su cui fondare più sicure notizie, «ognun rimanga dell’opinione che più gli gradirà». 
Era un bel modo di cavarsi d’impiccio di fronte ad un problema allora, come oggi, già persistente. Ma, alla mancanza di documenti, da qualche anno cercano di supplire le fatiche di archeologi e ricercatori di archivio che sondano con crescente curiosità una delle torri più alte, mastodontiche, e bisogna pur dirlo, delle più belle del mondo."
Così inizia la sua pagina dedicata al Torrazzo la prof. Elda Fezzi (1930 - 1988) nel suo volume "Cremona, lo stile di una città - 1983"
Prosegue poi con un interessante excursus storico e descrittivo
"Le fondamenta sono assai profonde, la parte in cotto alla base, nel suo interno, sposta le date di inizio verso epoche altomedioevali. Si risale alla fine del X secolo o agli inizi dell’XI, ma nei secoli successivi acquista struttura e sviluppo adeguato a più decise funzioni civiche, in relazione anche alla rielaborazione campionese e antelamica della Cattedrale.
Nella sua prima parte, di torre quadrata terminante in merli, la distribuzione delle cornici, delle monofore, bifore e quadrifore presenta affinità con campanili di area mozarabica (per esempio, con la forma a torre della prima parte del campanile, pure doppio, della moschea Kutubia a Marrakesh, del XII secolo).
E’ altissimo, visibile da lontano, quasi come un faro, da tutte le antiche strade che raggiungono la città.
Di altezza eccezionale, di oltre 111 metri, unisce la rarità della torre doppia, ottagono su quadrato, probabilmente ideate in epoche differenti, ma coordinate da un’ardita concezione architettonica.
Dalla terrazza quadrata, alla quale termina la torre romanico-gotica che è circondata da venti merli alti otto braccia cremonesi, circa quattro metri, si eleva la slanciata, lievitante cuspide a doppio ottagono, la cui composizione sembra evocare, insieme con antiche meraviglie grecoellenistiche, legate a funzioni astronomiche e a cabale astrologiche, le concezioni dell’architetto romano Vitruvio.
Sopra otto grandi arcate a tutto centro incorniciate da archi pensili, si alza una loggia ad otto archi per lato, marcata da pinnacoli a piramide, in marmo. 
Si stacca da questa cornice un secondo tamburo, che sostiene la loggia di sedici arcatelle, da cui spicca il cono terminale, diviso da otto cordoni marmorei.
Il richiamo alle città ideali del ‘400, con otto porte e sedici torri, (relazioni con la rosa dei venti, il numero dei venti di Vitruvio, otto, e la torre dei venti di Atene), che ricorre nella struttura della Ghirlanda, porterebbe la costruzione, o ricostruzione del bellissimo gioiello architettonico, in epoca rinascimentale.
Le ipotesi possono apparire troppo improbabili, data la scarsità di documenti, ma la Ghirlandina, che ha somiglianze con eleganti torri gotiche lombarde (quella milanese di San Gottardo, ad esempio, opera del cremonese Francesco Pegorari, circa 1336, e la torre nolare dell’abbazia di Chiaravalle) ha caratteristiche assai più spaziose o razionali, oltre alla raffinatezza degli intervalli e dei raccordi di volume e di colore fra le colonnine, i pinnacoli, le materie usate. 
Proporzioni e rapporti fra architettura e luce, le ‘pietre cotte’ e le ‘pietre vive’, lasciano supporre l’intervento di un architetto o di architetti rinascimentali, conoscitori delle novità prospettiche e meccaniche, come Aristotele Fioravanti da Bologna (chiamato in Lombardia, e a Cremona, da Francesco Sforza, intorno al 1460-62, e che sarà il costruttore di due chiese del Cremlino, a Mosca), il Filarete, o altri intelligenti e capaci architetti cremonesi al corrente di originali ‘torri doppie’(come quella filaretiana del Castello di Milano, che veniva illustrata alla fine del’400 in una delle tarsie del Platina nel coro del Duomo)."

Una descrizione ricca di particolari interessanti che ci proietta nell'ammirazione di questa stupenda torre che è diventata il simbolo di Cremona.

La crocifissione del Pordenone nella Cattedrale di Cremona


Una scena coinvolgente quella realizzata da Giovanni Antonio de' Sacchis detto il Pordenone, nome della città di provenienza, in cui, nel Duomo di Cremona, rappresenta la scena della Crocifissione.
In questo stupendo affresco l'artista regala vibranti emozioni e dà vita alla rappresentazione di un mondo che slitta e frana in preda a una rabbiosa e divorante violenza che ha come principale riferimento il testo evangelico.
La grande Crocifissione realizzata nel 1521 occupa il registro centrale della controfacciata della Cattedrale di Cremona.
La rappresentazione è legata a precisi significati religiosi per i quali i fabbriceri del Duomo, che commissionarono l’opera, avevano dato chiare disposizioni.
Le loro indicazioni sono descritte chiaramente nella guida "La Cattedrale di Cremona - S. Borsotti S.Botticielli G.E.P. 1997":
"In primo piano, ai piedi del centurione che indica verso il Cristo, la terra è divisa dalla profonda fenditura che, secondo il Vangelo di Matteo, si aprì nell’attimo in cui Cristo spirò e alla stessa interpretazione è legato il cielo scuro e denso di nubi. 
La profonda spaccatura divide le figure ai piedi delle croci in due parti distinte: l’umanità redenta, sottolineata, in primo piano, dal gruppo della Vergine svenuta, dal San Longino a cavallo in atto di pentimento e, nello sfondo, dal buon ladrone sulla croce; l’umanità dannata esemplificata nella truce immagine del manigoldo che, con inaudita violenza, spezza le gambe al cattivo ladrone. 
Anche in questa scena il movimento vorticoso e la direzione degli ‘affetti’ convergono sull’immobile figura del Cristo, fulcro morale della composizione."
Molto interessanti ho trovato pure le considerazioni avvincenti di ArteGrandTour su Facebok che mi hanno proiettato veramente nel cuore dell'opera artistica.
Il centurione in primo piano, rappresentato in vesti cinquecentesche (quasi un ritratto dei soldati che sciamavano per le campagne d’Italia, sotto la guida di capitani stranieri), spinge l’attenzione dell’osservatore, come un ago magnetico, verso la croce di Gesù. 
L’intera scena ruota sul compasso del suo corpo: i gonfaloni si riempiono di vento, un grumo di donne si raccoglie intorno alla Vergine svenuta, e la terra si spacca, secondo il racconto evangelico, nella tensione di un gorgo di emozioni convulso come il pianto. 
Fissata sul diaframma che separa la cattedrale dal mondo, ultima immagine a colpire l'occhio di chi si appresta a lasciare lo spazio sacro, la Crocifissione condensa, in un tempo precocissimo, azzerando ogni filtro e mediazione idealizzante, il senso di tragedia che doveva serpeggiare in un'Italia ormai preda delle monarchie europee. 
Solo più tardi il sentore di questa crisi toccò le coscienze degli artisti impigliati nelle lussuose trame della curia pontificia, e con esiti orientati, all'opposto, alla squisitezza intellettuale ed estetica. Artista geniale e fuori dal comune nel panorama del Cinquecento italiano, il Pordenone intuì forse, all'opposto, la direzione verso cui procedevano le sorti del suo tempo osservando senza timore i suoi stessi istinti. 
Alcuni anni dopo aver rappresentato, nella Crocifissione cremonese, la violenza brutale latente nell’animo umano, l'artista fu coinvolto in un processo che lo accusava di aver assoldato alcuni sicari veneziani, incaricandoli di uccidere il fratello Baldassarre per impadronirsi di una parte dei suoi beni. 
In una testimonianza processuale, lo stesso Baldassarre, a proposito degli sgherri che l’avevano assalito, racconta: “... erano robusti... e ben formati, ed avevano aspetto, e cere de omeni terribili”: quasi un ritratto dei carnefici che popolano l'opera del fratello pittore. 
Tenendo come fondo remoto della memoria gli affreschi romani di Michelangelo e Raffaello, il loro nuovo senso del dinamismo e i bellissimi effetti notturni della seconda Stanza vaticana, Pordenone inventò a Cremona, con una tecnica straordinaria e quasi impossibile su muro, l’effetto turbinoso e del tutto originale di un temporale, che sbatte e torce gli spasimi opposti dei due ladroni. 
L'immagine della croce, introdotta dalla spada del soldato in primo piano, costruisce lo spazio in maniera sghemba e teatrale, come se il Golgota stesso fosse raffigurato in un moto di rotazione, con i tre crocifissi disposti in maniera insolitamente sghemba. 
Il corpo del cattivo ladrone, incurvato dallo strazio del manigoldo che ne spezza le gambe, imposta le forme e i movimenti su traiettorie sincopate, che tracciano vortici emotivi in grado di inghiottire lo spettatore, proiettandolo nel vivo di una scena in cui la scala monumentale delle figure lascia sprigionare un’intensità patetica senza paragoni.
Si tratta quindi di una scena intensa e drammatica che merita attenzione e assolutamente da vedere ed ammirare...