sabato 4 aprile 2015

Arcimboldo e la sua famosa "Natura morta" al Museo di Cremona

Giuseppe Arcimboldo (Milano 1526 - 1593) è passato alla storia per le fantasiose "teste composte", ritratti burleschi combinati con elementi della stessa natura prodotti ortofrutticoli, pesci, libri, uccelli e altro.
A Cremona, nel Museo Ala Ponzone, è conservata la sua  "Natura morta" o "Ortolano", un quadro molto noto riportato sui testi di storia dell'arte.

Interessante la recensione su "Grand Tour. Oltre le visite guidate", pubblicata sulla pagina facebook:

La tendenza a flettere la realtà in caricatura doveva venirgli, forse, dall’essere milanese. 
In quei nasi a peperone, in quelle teste di rapa, in quelle lingue taglienti di fuoco vibra un’aria famigliare, tra Carlo Emilio Gadda e Dario Fo. 
L’inclinazione all’iperbole, connaturata ai suoni impuri del dialetto locale, si riverberò sulla pittura e accolse nuovi stimoli quando, sulla fine del Quattrocento, giunse a Milano Leonardo da Vinci, che dello studio della fisionomia aveva fatto una via privilegiata alla conoscenza dell’anima e dei suoi moti. 
Come frutto inaspettato e da subito maturo, nacque così, nell’immaginazione di Giuseppe Arcimboldi (noto come Arcimboldo), l’arte della “testa composta”, che ricostruiva un’immagine somigliante del viso e del corpo attraverso oggetti a essi estranei. 
Apparentemente semplice, perché intriso di allusioni scherzose, il genere richiedeva immensa perizia perché carote, polli, coralli e fiori fossero accostati gli uni agli altri in modo da costruire un insieme coerente e mantenere nello stesso tempo la propria riconoscibile identità. 
L’organismo messo a punto dal pittore faceva convergere, con l’artificiosa disinvoltura del Manierismo, le metafore della poesia, le virtù allegoriche e descrittive del ritratto e un’attenzione lenticolare, di scientifica esattezza, nella descrizione della natura. 
Messa al servizio della corte praghese di Rodolfo II, che dell’autunno del Rinascimento italiano colse i frutti più capricciosi e raffinati, l’arte estrosa di Arcimboldo dava un significato nuovo alle libere e pazze combinazioni degli elementi naturali che avevano dato vita alla grottesca. 
Distillando i succhi del Cinquecento italiano, la corte di Praga ne ambientava i temi in un orizzonte che si appassionava allo scherzo e alla maschera, ma che, nel fondo della sua disperata intellettualizzazione era, forse, consapevole di rappresentare la dorata eclissi dell’età precedente. Apoteosi del doppio senso (e quindi del “non-senso”) della pittura, sono le “teste reversibili”, come quella del Museo Ala Ponzone di Cremona. 
Nel Trattato dell’arte della pittura, del 1584, Giovan Paolo Lomazzo, parlando di Arcimboldo, ci dà una descrizione precisa di questo artificio: “ancora si possono fare medesimamente le figure perfette da vedere, che poi rivoltato quelle di sotto di sopra ci appaiono avanti agli occhi altre figure molto sconformi dalle prime già vedute e molte altre simili bizzarrie si possono fare”. 
Dipinti non maneggiabili e imbarazzanti (perché ignoriamo prima di tutto se dovessero essere esposti come ritratti o come nature morte), le “teste reversibili” cercavano dunque, attraverso il gioco e la metafora, un nuovo destino per l’uomo, ormai lontano, nella seconda metà del Cinquecento, dalle limpide certezze rinascimentali. 
Con il suo farsi “cosa”, L’Ortolano di Cremona fornisce all’aguzzo dilemma intellettuale dell’epoca una risposta sardonica e lungimirante, a un passo dal farsi “umani” dei frutti all’interno di una canestra di paglia, dipinti a Milano, per la collezione di Federigo Borromeo, dal giovane Caravaggio.

Nessun commento:

Posta un commento