mercoledì 12 agosto 2015

SONCINO: la chiesa di SANTA MARIA DELLE GRAZIE

Giulio Campi, Decorazione Arco trionfale con la Madonna in gloria
La Chiesa di Santa Maria delle grazie è un prezioso gioiello cinquecentesco da scoprire nelle campagne cremonesi.
All'interno si possono ammirare gli affreschi di Giulio Campi e dei fratelli Scanzi che ornano pareti e volte, i fregi in terracotta ed i monumenti funebri della famiglia Stampa.
Nel  1536 in questa cornice Carlo V nominò feudatario Massimiliamo Stampa del marchesato di Soncino.
La splendida Santa Maria delle Grazie divenne ben presto la chiesa-pantheon della nobile e potente famiglia.

Ho trovato uno studio sintetico e interessante a firma di Mina Gregori sulla chiesa preso dalla pubblicazione del 1992 Associazione PRO LOCO - SONCINO a cura di De Santis e Merlo.


Localizziamo la chiesa Santa Maria delle Grazie. 
Sorge nella periferia di Soncino sull’antica strada per Cremona. 
Occorre spingersi a Crema, a Castelleone, a Martinengo per vedere ergersi nella pianura altri begli esempi del primo Rinascimento lombardo così gravemente falcidiato a Cremona. 
In Santa Maria delle Grazie come in questi edifici i confini tra arte cremonese e arte lombarda sono difficilmente definibili, le tendenze si mescolano e i pittori di varia provenienza si confrontano.
L’interno della chiesa soncinate, è dipinto a tutto campo e prefigura la spinta invasiva che portò ai grandi complessi decorati dai manieristi cremonesi. 

Gravi alterazioni non si sono verificate nel corso dei secoli, nonostante le vicende comuni a tanti edifici ecclesiastici, ma per immaginare quale doveva essere l’effetto d’insieme occorre avere presente anche la pala di Giulio Campi che si trovava sull’altar maggiore e che forse sarebbe possibile ottenere dalla Pinacoteca di Brera per reinserirla nella sua originaria cornice.
La prima fase della decorazione che dovette seguire senza soluzione di continuità alla costruzione della chiesa è stata in parte recuperata in tempi recenti con lo strappo di alcuni affreschi che risalgono alla fine degli anni venti del Cinquecento. 

Negli Evangelisti degli oculi nella volta del presbiterio Giulio Campi continua e aggiorna la visione illusionistica dei Santi carmelitani dipinti sulle pareti in finte nicchie ai primi del Cinquecento (che egli stesso provvederà a ricoprire) e stretta- menti collegati alle ricerche prospettiche milanesi del Butinone e dello Zenale. 
Gli elementi vegetali e i filatteri che si snodano sul fondo chiaro dell’intonaco attestano invece la diffusione nel territorio dell’elegante stile decorativo cremonese.
L’intervento di Giulio Campi nella pala e negli affreschi del presbiterio, dell’abside e dell’arco trionfale è un episodio importante nel suo percorso perchè segna il suo ingresso nella maniera moderna in una lunga serie di trasformazioni che documentano la varietà delle tendenze e delle situazioni di cui un giovane pittore di vivace temperamento poteva fare esperienza in Italia settentrionale alla fine degli anni venti del Cinquecento. 

Negli Evangelisti delle vele della volta del presbiterio è evidente la sua conversione all’illusionismo del Pordenone, mentre la vivacità degli atteggiamenti e dei gesti ha un’accentuazione grottesca, derivata dalla grafica nordica, che si ritrova anche negli Apostoli che assistono stupefatti e turbati all’Assunzione della Vergine dell’arcone trionfale. Quanto ai grandiosi Santi carine litani a mezza figura ambientati in nicchie, che sono stati strappati dalle parcti del presbiterio e sono oggi nel convento, la possibilità di studiarli da vicino permette di apprezzarne il fare «grande» pordenonesco e la velocità e la sprezzatura dell’esecuzione condotta sulla base di cartoni, come indica la presenza di incisioni. 
Queste qualità fanno collocare mentalmente il loro autore anche accanto al Romanino più libero e corsivo.
Nella tavola conservata a Brera e datata nel 1530 è sempre stato notato il raffaellismo di estrazione emiliana, ma mi chiedo se in occasione dei lavori soncinesi Giulio non abbia anche fatto esperienza nella vicina Lodi dell’attività dei Piazza, che, nella combinazione di sontuosità pittoriche e di regolato classicismo, appare un immediato antefatto degli orientamenti che caratterizzeranno d’ora in poi la pittura del cremonese. 

Tali rapporti dovettero continuare con scambi reciproci, evidenti nelle affinità di presentazione dei ritratti nella pala soncinese di Giulio, nell’AssunZio/le della Vergine che Callisto dipinse nel 1533 per la cappella Trivulzio della Collegiata di Codogno e nel quadro dipinto dal Campi per l’altare maggiore di San Sigismondo. 
Le fasi della svolta del Campi a Soncino - raffaellismo e «maniera» -  e le relazioni con Lodi ricevono altre utili chiarificazioni nel confronto con la contigua decorazione coeva della navata, dove sono all’opera, insieme agli aiuti, due principali personalità lombarde che, pur differenziandosi notevolmente, si inseriscono nella diffusione della cultura raffaellesca in Italia settentrionale che precedette l’affermarsi della «maniera» di ispirazione parmense e mantovana a cui Giulio sembra accostarsi per la prima volta nelle parti conclusive del suo intervento nella chiesa, gli Apostoli sottostanti all’Assunta del’arcone centrale (dove qualche erudito afferma di avere letto la stessa data 1530) e gli angeli reggicortina del tramezzo che ripetono in forma moderna un motivo mantegnesco.
Controfacciata, Giudizio Universale (Francesco Carminati da Lodi?)
Il pittore del Giudizio universale della retrofacciata, che il Marubbi ripropone di identificare, sulla traccia di notizie riportate dal Ceruti (1834), con Francesco Carminati alias Francesco Soncino, un artista di origine soncinese con aderenze milanesi e attivo lungamente e a più riprese a Lodi, declina il raffaellismo in modi che sembrano derivare non solo da Marcantonio Raimondi, ma da un’esperienza diretta della situazione bolognese, dove Innocenzo da Imola si stava affermando accanto ai seguaci del Francia.
Questo pittore è responsabile, anche se con l’esecuzione in parte di aiuti (il Marubbi ricorda accanto a Francesco la presenza documentata dal fratello Bernardino), dei tondi della volta della navata, dove si legge per due volte l’anno 1530, delle lunette con i Profeti e delle storie della cappella della Maddalena che mi sembrano corrispondere per la qualità molto elevata e i legami con la cultura milanese, evidenti nella Deposizione, alla fase conclusiva della sua presenza nella chiesa.
Quando questi lavorava all’altezza della volta e delle lunette anche Giulio Campi doveva trovarsi sugli stessi palchi per affrescare la parte alta dell’Assunta dell’arco trionfale. 

Qui si riconosce l’intervento come aiuto del pittore del Giudizio universale, alias Francesco Soncino, che usa i cartoni del cremonese negli angeli musi- canti ai lati della Vergine. 
Se qualche tratto in comune si nota nell’acre grafismo manifestato anche da Giulio nella parte sottostante, firmata, dell’arcone centrale, è opportuno sottolineare la dimensione più grandiosa e moderna, derivata dal Pordenone, dell’affresco del Campi nei confronti delle decorazioni riferibili al Soncino e ai suoi aiuti e all’altra bottega attiva nella chiesa.
Per una vasta estensione opera infatti in Santa Maria delle Grazie una seconda maestranza guidata da un pittore che sembra debba identificarsi col soncinate Francesco Scanzi, al quale, secondo il referto del Ceruti (1834) rammentato dal Marubbi, fu affidata nel 1528 insieme ai fratelli Andrea e Ermete, e per conto di Francesco Il Sforza la decorazione delle cappelle. 

In questi affreschi, sebbene diminuiti da sbalzi di qualità che si spiegano con la diversa levatura dei pittori che vi collaborarono, la copiosità delle invenzioni - derivate direttamente e con disinvoltura provinciale anche da incisioni e da prototipi illustri --  la spazialità aperta e aprospettica, e le luci irrequiete dei saporiti e animati racconti vanno lette come un’altra manifestazione del classicismo eccentrico, che qui accorda Gerolamo da Carpi col Lorenzo Lotto del periodo bergamasco e con le varianti cremonesi di Altobello Melone e di Gian Francesco Bembo.                                             
Mina Gregori
all'anagrafe Guglielma (Cremona, 7 marzo 1924) è una storica dell'arte italiana, accademia dei Lincei (classe di Scienze morali), professoressa emerita di Storia dell'Arte moderna presso l'Università di Firenze.

1 commento:

  1. ciao! Mi potresti perfavore aggiungere alla newsletter? In modo da non perdermi nessun articolo.
    grazie
    luca

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