venerdì 1 dicembre 2017

Immagini dall'alto del Duomo di Piacenza

CONTINUA

domenica 26 novembre 2017

La cupola del Guercino a Piacenza

Giovanni Francesco Barbieri, nato a Cento nel 1591, vissuto per gran parte della sua vita a Bologna, è una figura di spicco della pittura del 600 italiano.
Il pittore emiliano deve il soprannome "Guercino"  al suo accentuato strabismo.
Innumerevoli sono state le mostre a lui dedicate, infatti la sua produzione fu veramente notevole: alcune centinaia le opere conservate, visibili nei musei di mezzo nord Italia. 
Piacenza il Guercino realizzò uno dei suoi capolavori, affrescando tra 1626 e 1627 la cupola del Duomo. Un lavoro monumentale, di grande respiro, eppure poco ricordato. Forse perché di fruizione complicata – anche piegando completamente il collo all’indietro gli affreschi si stagliano talmente lontani che diventa quasi impossibile apprezzarli a dovere. Per lungo tempo a Piacenza hanno pensato a un modo per valorizzare e rendere più avvicinabili i profeti e le sibille che ammiccano dall'alto. E finalmente ci sono riusciti, con la recente mostra a lui dedicata con la possibilità di salire sulla cupola e vedere da vicino il suoi splendidi affreschi.
Ecco alcune immagini dei suoi capolavori. 



mercoledì 15 novembre 2017

CREMONA: dalla dominazione austriaca ai nostri giorni

Le cinque giornate di Milano
In seguito alle vicende della guerra di successione spagnola, lo stato di Milano passò nel 1707 dagli Asburgo di Spagna agli Asburgo d'Austria: ebbe così inizio il periodo della dominazione austriaca che, tranne la parentesi dell'occupazione francese negli anni dal 1796 al 1814, continuò fino all'Unità d'Italia nel 1859.

La più importante realizzazione della dominazione austriaca in Lombardia fu il catasto, iniziato nel 1718 ed entrato in vigore nel 1760 imponendo un nuovo regime fiscale; nel 1773 fu introdotta un'altra significativa riforma, la soppressione delle corporazioni medievali. Tutte queste riforme produssero benefici effetti sull'economia che, grazie ad esse, potè riprendersi e tornare ad essere prospera.
In questo clima di rinnovato fervore, il 26 dicembre 1747 Cremona ebbe il suo primo vero teatro, terzo teatro lirico in Italia e, nel 1780, l'istituzione della Biblioteca pubblica. Inoltre, a partire dalla fine del Settecento, la città cominciò a cambiare volto, con la soppressione di chiese, la chiusura di monasteri e conventi e il conseguente incameramento dei loro beni, nonché il progressivo smantellamento dell'apparato difensivo murario.

La trasformazione della città continuò nell'Ottocento con la riforma delle abitazioni private, secondo i nuovi criteri di ordine e decoro neoclassico, e col riordino dell'arredo urbano e l'istituzione, nel 1816, dell'illuminazione pubblica con lampade ad olio. La restaurazione del 1814 pose fine al ventennio di occupazione francese: ritornò la dominazione austriaca che si concluse con la seconda guerra d'Indipendenza del 1859 che portò Milano sotto la monarchia dei Savoia.
Nel 1922 il partito fascista si impadronì delle amministrazioni comunali di tutta l'area cremonese; a Cremona la personalità di spicco fu quella di Roberto Farinacci, fondatore del movimento fascista in città, che andò sempre più rafforzando il suo potere su Cremona, dominandone la vita politica ed economica fino al 1945.

In quel periodo venne realizzato un importante intervento urbanistico che portò all'isolamento della Cattedrale, abbattendo le case e le botteghe addossate al Duomo per ottenere la visione globale del monumento come si presenta oggi. Inoltre parte del centro cittadino fu trasformato radicalmente con l'abbattimento di edifici precedenti per costruire nuovi palazzi pubblici e privati.
Nel dopoguerra è da ricordare la creazione di un ente che riprende e sviluppa l'antica tradizione agro-zootecnica cremonese; nel 1965 nasce l'Ente Manifestazioni Fieristiche trasformato nel 2003 in CremonaFiere S.p.A., punto fermo del mercato fieristico nazionale e polo attrattivo per l'agricoltura e la zootecnia italiana ed europea. (da cremonacittà.it)
Adunata fascista a Cremona






Le mura di Pizzighettone, realtà da scoprire

Il centro storico del paese è delimitato dalla possente cerchia muraria, una buona parte della quale è aperta al pubblico.
La cortina muraria di Pizzighettone conserva al suo interno una serie di ambienti voltati a botte, tutti collegati tra loro (le Casematte)... CONTINUA

domenica 10 settembre 2017

Rinascimento e dominazione spagnola a Cremona

Il rinascimento e la dominazione spagnola viene descritto bene nell'opera "Cremona fedelissima" di Antonio Campi del 1585, prima storia di Cremona in lingua volgare, ricca di informazioni storiche, artistiche e letterarie che consente la ricostruzione del panorama culturale cittadino dalle origini al 1585.
 Nel 1449 Cremona passò a Venezia senza alcuna guerra per un accordo stipulato, a danno di Milano, dal Re di Francia Luigi XII e dai Veneziani, ma nel 1509, in seguito alla sconfitta ad Agnadello del suo esercito, Venezia dovette abbandonare Cremona che venne nuovamente aggregata al Ducato di Milano.
Dolorosi e travagliati furono gli anni fra il 1509 ed il 1535 per la città e per l'intera Italia del nord. Francia e Spagna si contendevano il predominio in Italia e quegli anni di guerra significarono violenze, saccheggi, epidemie e tasse sempre più gravose imposte di volta in volta da ogni occupante. La città e il contado si erano impoveriti, i traffici e i commerci erano stagnanti e la popolazione calava di numero, ma, non appena tornò la pace nel 1535 con
La battaglia di Agnadello Pierre-Jules Jollivet (1837)
l'affermazione della Spagna, l'economia gradatamente rifiorì e nel Cinquecento Cremona divenne la seconda città del Ducato di Milano: ricca e fiorente, contava una popolazione di circa 37000 abitanti e l'attività prevalente era quella tessile, florida fin dal Medioevo.

Nella sua "Cremona fedelissima" Antonio Campi ricorda inoltre gli artisti operanti a Cremona tra il Quattrocento e il Cinquecento: pittori, scultori e architetti, oltre che uomini di scienza quali il medico Realdo Colombo, studioso di anatomia, e il versatile Janello Torriani, costruttore di orologi, automi e meccanismi straordinari, che fu alla corte dell'Imperatore Carlo V e di suo figlio Filippo II.
Nel 1630 l'epidemia di peste resa celebre da Alessandro Manzoni colpì anche Cremona con conseguenze catastrofiche che portarono la ricca e florida città del Cinquecento ad una pesantissima crisi economica, sia nell'agricoltura che nei commerci, e allo spopolamento della città; mentre le altre città del Ducato di Milano si ripopolarono abbastanza rapidamente, Cremona, entrata in una crisi irreversibile, dovette attendere circa due secoli per raggiungere il livello demografico precedente.
Eppure nel corso del XVI e XVII secolo Cremona si distinse per l'attività musicale e per la produzione liutaria che portò alla creazione degli strumenti ad arco. I liutai cremonesi raggiunsero risultati tecnici eccellenti che li resero famosi nel mondo: il primo che si distinse nel secolo XVI fu Andrea Amati, capostipite di una famiglia di celebri liutai. Suo nipote Nicolò fu probabile maestro dei capostipiti di due altre grandi famiglie, i Guarneri e gli Stradivari i cui componeneti operarono nel Seicento e nella prima metà del Settecento. Tra essi due ottennero una straordinaria fama: Antonio Stradivari, i cui strumenti sono considerati i più grandi capolavori liutari di tutti i tempi, e Giuseppe Guarneri detto del Gesù. Alcuni dei loro strumenti sono conservati nella Civica Collezione "Gli Archi di Palazzo Comunale". Cremonese fu anche il compositore Claudio Monteverdi che lavorò per la corte dei Gonzaga a Mantova, per la Cappella di S. Marco a Venezia, ed è considerato l'inventore del melodramma.
(da cremonacitta.it)

domenica 30 luglio 2017

FABIO MORENI: l'avventura umanitaria di un uomo di fede - Mauro Faverzani

Si intitola “Fabio Moreni: l’avventura umanitaria di un uomo di fede” il libro curato dal giornalista cremonese Mauro Faverzani e pubblicato nel ventesimo dal martirio. Il volume è stato pubblicato da un editore nazionale di assoluto prestigio: le Paoline. «Subito la casa editrice ha mostrato interesse e molta attenzione a questa pubblicazione – sottolinea don Mangili, membro di Fondazione Moreni – riconoscendo così l’alto valore della testimonianza di Fabio».
Il libro rappresenta una sorta di biografia umana e spirituale, frutto di una ricerca scrupolosa, di un lavoro di raccolta sistematico, di una trasposizione in pagina il più possibile attenta a coglierne la personalità autentica, per ripercorrerne l'intenso itinerario umano e di fede fino al martirio.
La vita di Moreni è presentata lasciando che a parlarne siano Fabio stesso attraverso i suoi scritti (molti dei quali inediti), la mamma Valeria con i suoi ricordi e quanti lo hanno conosciuto. Il testo si avvale della prefazione scritta del cardinal Vinko Puljic, arcivescovo metropolita di Vrhbosna-Sarajevo, che scrive: “Gli operatori di pace sono i primi collaboratori di Dio. In questo spirito osservo la vita di Fabio, consumatasi e donatasi per la realizzazione della pace.[…]”.
I proventi della vendita del volume saranno devoluti alla Fondazione Fabio Moreni, sorta nel 1994 per volontà della madre e di un gruppo di amici che desiderano ricordarne la fede esemplare. Scopo della fondazione è tenere viva la testimonianza lasciata da Fabio, attraverso opere sociali di solidarietà e di carità, sia nel territorio cremonese sia in Paesi in via di sviluppo. [da archivio.diocesicremona.it]

Fabio Luca Maria Moreni nacque a Cremona il 12 maggio 1954 da Giovanni Moreni e da Valeria Arata.
Dopo una brillante carriera scolastica - si diplomò in soli quattro anni presso il liceo scientifico, a Cremona, e si laureò a pieni voti in ingegneria informatica presso l'Università Normale di Pisa - , si occupò a tempo pieno dell'azienda paterna, che ricadde sulle sue spalle mentre era ancora studente liceale, a causa dell'ìmprovvisa morte del padre.
La sua vita fu caratterizzata da un inarrestabile cammino di fede, che lo spinse a recarsi nella Bosnia allora segnata dalla guerra, da volontario, percorrendo un paio di volte al mese tra le 20 e le 25 ore di tragitto, pur di portare personalmente alla povera gente viveri, indumenti e medicinali.
E’ morto a 39 anni, il 29 maggio 1993, ucciso con gli amici Sergio Lana di Rivarolo Mantovano e Guido Puletti di Brescia, mentre trasportava aiuti umanitari: i “Berretti verdi” di Hanefija Prijic Paraga sequestrarono il convoglio e li fucilarono.
La sua testimonianza forte, la profonda fede ed il suo senso di altruismo vengono oggi portati avanti dalla Fondazione, che al suo esempio si ispira e che da lui prende il nome. [da fondazionemoreni.org]

Una lunga esperienza, ma solo per anagrafe. Mauro Faverzani muove i suoi primi passi con una laurea in Filosofia ed una specializzazione in Psicologia. Certo di una cosa sola ovvero di non voler assolutamente insegnare, sceglie il giornalismo, perché non è che il mercato offrisse molto altro e poi perché, come dice Montanelli, “è sempre meglio che lavorare”.
Giornalista pubblicista prima per forza e poi per scelta, ha la fortuna di trovare un posto libero al settimanale “Vita Cattolica”. Da qui parte e non si ferma più. Cura poi la nera e la giudiziaria a “Mondo Padano”, diventa redattore a “RCN-Radiocittanova”, dove fa esperienza anche di televisione con “TRC”, lo studio di produzione della Diocesi, e con l’informazione on line, creando dal nulla e seguendo per diversi anni il sito ufficiale della Diocesi di Cremona.
A corollario, le cronache potrebbero citare uno stuolo infinito di collaborazioni per testate nazionali (corrispondente de “La Notte” e “Avvenire”), per riviste (“Radici Cristiane”), per agenzie on line (“Corrispondenza Romana”), per radio (“Radio 883”).  [da crashmedia.it]


domenica 11 giugno 2017

Piacenza: TEATRO MUNICIPALE

Un perfetto esempio di teatro all'italiana è il Teatro Municipale di Piacenza. Lotario Tomba è l'architetto piacentino ideatore di questo monumento oltre al quale ha realizzato un altro edificio significativo per la città di Piacenza: il Palazzo del Governatore in piazza Cavalli.

Il Teatro, inaugurato nel 1804, fu definito da Stendhal “Tra i più belli, anzi il più bello d’Italia”. L'innovazione che rivoluzionò i principi su cui, fino allora, era basata l'architettura tetarale europea, è stata la forma della sala “tre quarti d’ellisse” inventata dallo stesso Lotario Tomba.

Oltre a rispettare le leggi della fisica (ottima l’acustica), la pianta a “tre quarti d’ellisse” esalta anche l’estetica della sala dandole elegante slancio. Nel 1895 il Teatro Municipale di Piacenza è stato il primo in Italia ad essere interamente illuminato da lampade ad energia elettrica.

Nel 1830 è stata ricostruita la facciata su progetto dell'architetto Alessandro Sanquirico.
Egli, per anni scenografo del Teatro alla Scala, modificando il disegno lasciato dal Tomba, progettò la facciata realizzando un duplice porticato coperto da un terrazzo a balaustra sovrastato da un colonnato ionico che sostiene il timpano, dove è collocato lo stemma della città.

Si deve quindi al Sanquirico la somiglianza tra il teatro piacentino e il più celebre teatro milanese. L'antiportico aveva anche un aspetto prettamente funzinale, dando alle carrozze la possibilità di passarvi sotto, permettendo cosi ai nobili di raggiungere il teatro senza bagnarsi in caso di pioggia. 









venerdì 2 giugno 2017

Basilica di san Savino: romanico puro a Piacenza

San Savino è considerata una delle più significative realizzazioni del Romanico settentrionale. 
Edificata verso la fine IV secolo e dedicata ai Dodici Apostoli  per volere del secondo vescovo piacentino Savino, al quale fu poi intitolata dopo la sua morte (420) fu distrutta dagli Ungari nell’899. 
Alla sua ricostruzione del 903 seguì  quella del 1107, al tempo del vescovo Aldo. 
La struttura è preceduta da un elegante portico a colonne binate con cancellata, finestre e frontone di epoca tardobarocca (1721). 
La facciata originale si può vedere  alle tre porte di ingresso, con pietre lavorate a intaglio su paramento in cotto. 
L’interno è diviso in tre navate da pilastri in granito, secondo una successione a sistema alternato di tre campate con archi a tutto sesto coperte da volte a crociera, con le semicolonne che reggono i costoloni. 
Si tratta di  un raro esempio di romanico puro.
Le navate laterali sono concluse a nord da abside semicircolare ripristinate durante i restauri del 1903 in sostituzione di quelle seicentesche quadrate. 
Il campanile è sorretto dall’ultima campata della navata destra. La bellaVia Crucis è dipinta dal piacentino Carlo Maria   Viganoni, unico discepoli di Gaspare Landi.
Dell’originale apparato decorativo sono rimaste, oltre ai capitelli con  motivi fitomorfi al traforo di ascendenza ravennate o bizantina e zoomorfi tipici del romanico padano, si possono ammirare alcuni brani del pavimento musivo, ubicati nel presbiterio, nell’abside nord e nella cripta. 
Il mosaico del presbiterio, di eccezionale interesse,  presenta un impianto rettangolare ritagliato in una cornice  recente. 
Nel riquadro centrale, inscritta a sua volta in un cerchio campeggia una figura barbuta, che reca in mano i simboli del Sole e della Luna, identificabile con il Cristo, e  i giocatori di scacchi, il ree il giudice, i guerrieri. 
Attorno, disposti anch’essi dentro un cerchio, vi sono quattro coppie di animali fantastici. 
Sulla parete destra del presbiterio si può notare un tabernacolo in marmo bianco, con prospettiva e decorazioni rinascimentali,  raro esempio di tabernacolo precedente ai dettami del Concilio Tridentino, che prescrisse la sua collocazione al centro dell’altare ad esaltazione dell’eucaristia contro il protestantesimo.  
Di grande valore artistico il crocifisso  ligneo del XII secolo, una delle prime testimonianze padane  medioevali nel genere. 
Il prezioso altare in marmo nero con ornamenti un bronzo  è di Giuseppe Filiberti (1764). 
La transenna del presbiterio è formata da antiche pietre ritrovate  negli scavi della cripta e intagliate da uno scultore piacentino.
Gli interessantissimi  mosaici della cripta, sorretta da colonnine provenienti da altri luoghi e da capitelli con figure fito-antropomorfe e con pulvini di riporto, presentano i Segni Zodiacali associati al mese e alla relativa attività, opera raffinata e complessa che si rifà, per fare qualche esempio,  alle decorazioni del Duomo di Piacenza e del Battistero di Parma, della basilica di S. Colombano di Bobbio e del Duomo di Otranto. 
L’edificio subisce diverse manomissioni, soprattutto durante il Seicento, quando viene aggiunto il pronao che modifica l’originale impianto romanico. 
Nei primi anni del Novecento nei restauri condotti con grande scrupolo dall’ingegner Martini hanno riportato in luce l’originale preziosissimo aspetto medioevale. 
(da piacenzamusei.it)

lunedì 29 maggio 2017

Interno dell'imponente Basilica di S.Agostino a Piacenza

L'imponente Basilica di S. Agostino è un'esempio di architettura rinascimentale e barocca con richiami al neoclassico.
L'interno purtroppo non si può mai ammirare perchè rimane chiusa la maggior parte dell'anno ad eccezione di mostre ed eventi culturali.
Grazie alla recente manifestazione di Piacenza green city ho potuto realizzare un video che ci mostra la maestosità del suo interno: è l'unica chiesa piacentina con cinque navate!

Ecco alcune note storico-artistiche (da agenziademanio.it)
La Chiesa Sant’ Agostino costituisce, con l’antico ex Monastero, il più rilevante esempio di architettura religiosa della seconda metà del XVI secolo esistente a Piacenza ed uno dei più importanti complessi rinascimentali dell’Emilia. La posa della prima pietra risale al 1569 e la consacrazione avvenne già nel 1573; considerate le dimensioni imponenti della chiesa, i lavori di costruzione durarono diversi anni, tanto che la facciata venne ultimata solo nel 1792. La chiesa, il monastero e il collegio di S.Agostino di Piacenza facevano parte di un unico complesso di edifici che venne a formarsi lentamente nel corso dei secoli. La scelta di quest’area fu determinata dal fatto che, nel XVI secolo, Pier Luigi Farnese s’impadronì del territorio occupato dai Lateranensi, attualmente incluso nell’Arsenale.  Ad indennizzo dell’esproprio, i religiosi ricevettero il monastero dei SS. Giovanni e Paolo, che si affrettarono a demolire per costruirvi un nuovo monastero e l’adiacente chiesa dedicata a S. Agostino, che venne così ad occupare l’antico castello visconteo di S. Antonino che era stato demolito nel 1550. La chiesa mantenne la propria funzione fino al 1734, quando fu adibita ad ospedale militare e come tale fu utilizzata fino al 1799. Poi nel 1801, con la soppressione della Congrega Lateranense, la chiesa di S. Agostino fu definitivamente destinata a magazzino militare, con tanto di scuderia e maneggio, fino agli anni ’90, con la dismissione da parte del Ministero della Difesa. Il complesso è caratterizzato dalla grandiosa chiesa a cinque navate e dai due grandi chiostri del convento, che si impongono per la classica linea architettonica tipicamente cinquecentesca e, pertanto, è di grande interesse per la storia del vasto movimento edilizio promosso durante i secoli scorsi dagli ordini monastici del piacentino.


martedì 2 maggio 2017

Il primo film su Stradivari

Si tratta di "Stradivari"  un film tedesco che, il 25 agosto 1935, venne distribuito nelle sale cinematografiche.
E' il primo film dedicato al grande liutaio cremonese, affidato al regista Géza von Bolvàry, fu realizzato con un cast che annoverava i migliori attori del momento. 
Una produzione franco-tedesca creata con grande dispendio di mezzi, cui seguì in ottobre, la versione francese intitolata “Stradivarius”.
Di questa epoca, dunque, il primo vero film, di oltre un’ora e mezza, con protagonista Stradivari ed i suoi violini.

Giuseppe Verdi e Cremona

Per Giuseppe Verdi Cremona era essenzialmente la città degli affari. Quando vi arrivava dalla sua villa di Sant’Agata nei giorni di mercato, dopo aver percorso il viale, fermava il suo calesse sul piazzale di porta Po, faceva un giro tra i mediatori, apriva i cartocci con il granoturco e il frumento, e ne esaminava il contenuto osservandolo e toccandolo; dava giudizi, faceva acquisti o provvedeva a vendite.


CONTINUA 

sabato 29 aprile 2017

Stradivari, il maestro liutaio di Cremona, era un gesuita?

Uno studio interessante ci presenta questo interrogativo...


Elia Santoro aveva ragione: Antonio Stradivari fu protetto dalla potente Compagnia di Gesù, come altri liutai del suo tempo e precedenti a lui.
Quella che poteva essere solo una felice intuizione è stata recentemente confermata dal ritrovamento, tra i reperti stradivariani non ancora esposti al Museo del Violino, di un biglietto datato 24 agosto 1727, da cui si apprende come Giuseppe Filiberto Barbieri, rettore della Compagnia di Gesù, s'impegni a far pervenire una cassetta per conto di Antonio Stradivari al Procuratore dei Padri Gesuiti del Collegio di Modena.
“Ho ricevuto dal Barone Pietro Fedele una cassetta seugnata colle lettere R.P.M., e procurerò dispedirla con opportuna occasione a Modena al Padre Procuratore dei padri Gesuiti di quella città, come si debba dal sig. Antonio Stradivari. In fede”.
Il fortunato ritrovamento è stato effettuato dal conservatore del Museo del Violino Fausto Cacciatori e dal paleografo Marco d'Agostino nell'ambito di una ricerca paleografica sui reperti stradivariani delle collezione civiche liutarie in cui sono stati sottoposti tutti i reperti, esposti e non, ad una nuova serie di analisi e confronti, anche con il contributo del Laboratorio Giovanni Arvedi di diagnostica non invasiva dell’Università di Pavia che ha sede all’interno del Museo.
Dopo oltre un anno di lavoro i primi risultati sono sorprendenti, con nuove attribuzioni e la scoperta di elementi originali, mai esposti in epoca recente.
Dagli studi, che saranno completati entro l’anno e saranno pubblicati nel nuovo catalogo della collezione, sono emersi reperti sicuramente provenienti dalla bottega di Antonio Stradivari, che presentano sue annotazioni e che furono utilizzati per la costruzione dei suoi strumenti.
Fra quanto esaminato sono stati ritrovati, fra l’altro, i disegni per la decorazione della tastiera e della cordiera della viola tenore conservati alla Galleria dell’Accademia di Firenze, unico strumento ancora nelle condizioni originarie.
Disegni pubblicati, all’inizio del secolo scorso, dai fratelli Hill nel loro libro sulla vita e le opere di Antonio Stradivari, ma dei quali si era persa ogni traccia.
Oltre a questi modelli anche il disegno forato per lo spolvero delle decorazioni presenti sulla fasce del violino Rode del 1720 appartenuto al Marchese Carbonelli di Mantova.
Il biglietto scritto da Busseto


Ma è sicuramente questo piccolo biglietto spedito da Busseto ad attirare l'attenzione anche dei non esperti sulla personalità stradivariana.
Già Santoro aveva notato come le etichette stradivariane rivelassero con chiarezza la protezione dei Gesuiti fin dal 1672 e lo stesso liutaio avesse quasi certamente aderito alla Compagnia di San Giuseppe sin dai tempi in cui questa si trovava sotto la parrocchia di Sant'Agata.
Con ogni probabilità la Compagnia di Gesù aveva appoggiato ed apprezzato, come già fatto precedente dai Carmelitani, gli studi di carattere scientifico che Stradivari aveva condotto negli ultimi anni del XVII secolo sulla costruzione del violino.
I Gesuiti, nel complesso di San Marcellino, oltre alle scuole, facevano funzionare anche tre oratori destinati ai giovani, e due Congregazioni, una destinata ai gentiluomini, cioè coloro che potevano vantare quarti di nobiltà ma del frattempo si erano impoveriti fino a tornare allo stato borghese, ed un'altra destinata ai mercanti e agli artisti.
Quest'ultima era intitolata a San Giuseppe e curava un altare nella chiesa di San Marcellino dove, non a caso, sono conservati anche lavori di Giacomo Bertesi.
La protezionedei Gesuiti si rivela, nel caso di Stradivari, da un piccolo sigillo che a partire dal 1672 si trova sulla parte bassa a destra del cartiglio.
Se la dicitura “Sub titulo Sanctae Teresae” che ritroviamo nei cartigli dei Guarneri secenteschi rivelava il riferimento ai Carmelitani, così la croce racchiusa in doppio circolo con le iniziali A.S. alludeva nel caso di Stradivari alla croce con il monogramma JHS usata dai Gesuiti.
Ed è facile comprendere come il grande liutaio potesse affidarsi proprio a quell'ordine che grazie ai suoi numerosi collegi, aveva conquistato tutta l'Europa ed anche i nuovi continenti, così da consentire la diffusione della fama dei suoi violini grazie al prestigio ed agli ampi consensi goduti dall'ordine presso tutti i ceti sociali.
Il violino Rode del 1720


D'altronde i liutai avevano sempre goduto di protezioni da parte dei grandi origini religiosi fin dai tempi di Andrea Amati e di suo fratello, soprattutto da parte delle due grandi organizzazioni dei carmelitani Scalzi e dei Gesuiti che, pur contrapposte, godevano a Cremona di un indiscusso primato culturale.
I Carmelitani Scalzi avevano la loro base nel convento nei pressi della chiesa di Sant'Imerio e, in virtù della loro predilezione per le scienze, si erano interessati alla costruzione degli strumenti ad arco, dando disponibilità alle richieste degli Amati.
Niccolò ad esempio fece rogare nel 1682 il proprio testamento nel convento carmelitano, facendosi poi seppellire, due anni dopo, nella vicina chiesa di S. Imerio.
Secondo Santoro la protezione dovevs risalire fino ai tempi del padre Niccolò e continuare con i Guarneri, che avevano vissuto con gli Amati.
Il convento era dedicato a San Giovanni della Croce e alla santa riformatrice delle istituzioni delle istituzioni carmelitane Teresa di Gesù.
La famiglia Amati, però, al contrario di Sradivari, aveva ritenuta questa protezione del tutto privata, diversamente dai Gesuiti, che invece, rendevano nota la loro protezione per questo o quel liutaio. All'inizio del XVII secolo, però, il collegio gesuitico di San Niccolò non esercitava ancora la propria influenza in campo culturale, ma si era ramificato nel settore mercantile.
Tra i suoi adepti vi erano Alessandro Capra, alcuni consoli mercantili tra cui Domenico Mainoldi, un sindaco dell'Università degli orafi come Giovanni Battista Ferrari.
Ma dalla metà del secolo i Gesuiti non fecero più mistero della predilezione riservata ad artisti, mercanti, banchieri e nobili.
La protezione esercitata dai Gesuiti su Stradivari è ancora più evidente nel caso di Giuseppe Guarneri, che, diversamente da tutti gli altri liutai, nell'etichetta dei suoi strumenti poneva un sigillo identico a quello dell'ordine con la croce e il monogramma JHS.
I Gesuiti scelsero di proteggere questi liutai perchè ritenuti i più importanti e gli unici in grado di rappresentare l'elite della scuola cremonese, anche se non disdegnarono di dare il loro appoggio anche ad altri liutai non cremonesi, cone Giovanni Battista Guadagnini, che nei suoi strumenti appose etichette con un sigillo che imita quello gesuitico con una croce o una doppia croce.
La collezione del Museo stradivariano è costituita da 1305 oggetti, forme e disegni preparatori per la costruzione degli strumenti, modelli cartacei e lignei e attrezzi di lavoro.
La raccolta, unica al mondo, si è costituita nel corso del tempo partendo dalla donazione di Giovanni Battista Cerani nel 1893, formata da 408 oggetti proveniente dal laboratorio del liutaio cremonese Enrico Ceruti.
Seguirono altre donazioni, fra le quali ricordiamo quella dei coniugi Piazza Soresini, consistente nel pozzo e nel frammento di arcibanco proveniente dalla casa di Antonio Stradivari.
Il contributo più consistente arrivò nel 1930, quando il liutaio bolognese Giuseppe Fiorini donò a Cremona la collezione da lui acquistata, nel 1920, dagli eredi del conte Cozio di Salabue, cui era stata ceduta nel 1774 da Paolo, figlio di Antonio Stradivari.
Il sommario inventario redatto da Illemo Camelli, direttore del Museo Civico, all’atto dell’acquisizione conteggiò 1303 oggetti.
Il 6 dicembre del 1956 tutto il materiale fu trasferito dal Museo Civico alla Scuola di Liuteria, che all’epoca aveva la propria sede in Palazzo dell’Arte; in questa occasione fu redatto un nuovo inventario da cui risultano 1117 reperti.
Tutto fu infine trasferito al Museo Civico e nel 1976 si inaugurò il Museo Stradivariano con ingresso da via Palestro. Nel 2001 l’ultimo spostamento nella sala Manfredini del Museo Civico, fino al 2013, anno dell’apertura del Museo del Violino.
Il trasferimento nella nuova sede non ha introdotto variazioni nel percorso espositivo.
Particolari della viola tenore dell'Accademia


Nel 1972 Simone Fernando Sacconi pubblicò nel suo libro I Segreti di Stradivari il catalogo dei 709 reperti esposti nella sede di via Palestro; i reperti tuttora esposti a cui si sono aggiunti il frammento di arcibanco e la lettera autografa di Stradivari acquistata dalla fondazione Stauffer.
Una parte significativa della collezione, costituita da 509 oggetti, non fu mai fruibile dai visitatori, poiché tali reperti furono considerati di interesse inferiore rispetto a quelli esposti.
Un primo lavoro paleografico sui reperti esposti è stato svolto da Marco D’Agostino, professore del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università degli Studi di Pavia, e pubblicato nel 2009.
Sono stati classificati i reperti, cartacei e lignei, con annotazioni autografe del liutaio cremonese, e sono state individuate le note eseguite da altre mani fra le quali il Conte Cozio di Salabue.
Con il trasferimento al Museo del Violino di tutto il materiale è stato avviato uno studio approfondito – a cura del conservatore Fausto Cacciatori in collaborazione con il paleografo Marco D’Agostino - sui 593 reperti che non erano mai stati esposti.
Nello stesso tempo, in collaborazione con il professor Marco Malagodi, coordinatore scientifico del Laboratorio Giovanni Arvedi di diagnostica non invasiva dell’Università di Pavia che ha sede all’interno del Museo, sono in corso analisi chimiche sulla caratterizzazione elementale degli inchiostri utilizzati per le diverse annotazioni presenti sui reperti.
Per quanto rigaurda la scrittura l'esame paleografico ha permesso di enucleare tra i repetti mai esposti al pubblico un gruppo di manoscritti sicuramente autografi di Antonio Stradivari, tra cui, di notevole importanza, l'annotazione delle armi con intarsi in madreperla della viola tenore realizzate per il principe di Toscana.
E' stato poi possibile riportare alla mano del grande liutaio altre annotazooni grazie al confronto con le lettre guida, individuate nella q, composta come fosse una g, la p e la d, e le aste ascendenti, molto elevate e sinuose che nella parte alta si piegano verso destra.
Dallo studio effettuato è stato possibile ricondurre a Stradivari il 30% dei reperti non esposti.
Nonostante il principe dei liutai sia stato ampiamente studiato, non è mai stato individuato in modo inequivocabile il corpus direttamente riconducibile a lui e le caratteristiche del modo in cui lavorava la sua bottega, con la partecipazione dei figli Omobono e Francesco, prima che il figlio Paolo
cedesse tutto quanto in blocco al conte Cozio di Salabue.
E' proprio questa figura di commerciante e collezionista a complicare un po' tutto quanto: le sue annotazione compaiono spesso accanto a quelle del maestro, spesso ne ripetono le frasi e il tono. Dopo la morte di Antonio gli eredi vendettero a Cozio di Salabue oltre ad un certo numero di violini trovato in bottega, anche forme, disegni e vari attrezzi.
La collezione del conte, passata poi in eredità alla famiglia Dalla Valle nel 1840, fu poi venduta nel 1920 al liutaio Giuseppe Fiorini che a sua volta la donò al Comune di Cremona nel 1930.
Un grande numero dei reperti stradivariani conservato al museo è provvisto di scrittura vergata non di rado anche da due o più mani: si tratta di 125 pezzi su 710.
Le annotazioni erano state tutte attribuite a Antonio, ma già verso la fine degli anni Ottanta il conservatore Andrea
Mosconi era convinto che ci fosse anche dell'altro. Ed aveva ragione: solo il 30% di quelle scritte sono autografe, mentre la parte restante non lo era ed è forte il dubbio che, in realtà, sia stato proprio il conte Cozio a metterci del suo. E forse anche qualcuno dei due figli.
Ci sono pervenute tre preziose testimonianze manoscritte di Antonio Stradivari sicuramente di sua mano: una lettera datata 12 agosto 1708, una seconda lettera non datata, e il testamento del 24 gennaio 1729.
I tre autografi sono conservati a Cremona, il primo al Museo stradivariano, il secondo all'Archivio di Stato e il terzo presso la famiglia Sacchi.

Da Cremona misteriosa blog spot di Fabrizio Loffi
(http://cremonamisteriosa.blogspot.it/2015/07/stradivari-il-gesuita.html)

giovedì 16 febbraio 2017

Bobbio: borgo fantastico

Bobbio cittadina medievale situata nella Val Trebbia presenta monumenti, architetture, opere d'arte veramente pregevoli.
E' tutta da scoprire.
Visitiamola con alcuni video...


Bobbio la via del centro e la cattedrale

Il Monastero di San Colombano

Basilica di San Colombano

mercoledì 1 febbraio 2017

TRAVO: antico borgo nei pressi di Piacenza

Travo è un borgo storico di interesse culturale e architettonico, situato nella media Val Trebbia, a 27 chilometri da Piacenza.
Circondato da un ambiente naturale di grande fascino, Travo offre ai suoi visitatori un borgo antico ben conservato e monumenti di epoca medievale.
 Il centro del borgo è dominato dal suo castello medievale, che sorto dapprima come fortilizio della famiglia Malaspina passò poi agli Anguissola. Oltre all'originario torrione rotondo del XII sec., di rimarchevole conserva sulla facciata due ordini di finestre trilitiche, assai rare in questo territorio. 
Donato al comune dalla contessa Maria Salini nel 1978, oggi ospita anche la sede del Museo Civico Archeologico, con reperti preistorici, protostorici, romani e medievali, in parte provenienti da scavi condotti a partire dal 1981 in Val Trebbia dal gruppo di ricerca La Minerva. 
Dalla piazza principale, passando per la volta che attraversa la base della torre più alta, si arriva alla Chiesa di S. Antonino, eretta attorno alla metà del secolo XI e dedicata al Santo Patrono di Piacenza che in questi luoghi, secondo la tradizione, trovò il martirio.



Immagini dal BORGO