martedì 20 febbraio 2018

Liutprando da Cremona (920 - 972) - Antapodosis - Liber de legatione constantinopolitana

L' opera di Liutprando da Cremona viene giudicata malamente dagli storici e relegata con qualche sufficienza nell' area della letteratura. Sicuramente molti suoi giudizi sono falsati dalla partecipazione dell' autore in prima persona agli eventi che riferisce, ma è altrettanto vero che nessun libro di quell' epoca ci racconta con altrettanta "verità" le vicissitudini, gli intrighi, le rumorose avventure, le efferatezze e i delitti di un secolo che ha visto scorrazzare lungo la penisola gli eserciti selvaggi e arraffoni di Ungari, Longobardi, Franchi, Sassoni, Goti, che si contendevano territori, città e castelli. Conservo una edizione delle Opere di Liutprando da Cremona (La restituzione, Le gesta di Ottone I e La relazione di un' ambasceria a Costantinopoli) in un solo volume di 271 pagine a cura di Alessandro Cutolo, pubblicata da Bompiani nel 1945. Erano anni di faticosa e avventurosa editoria e i libri venivano stampati su pessima carta che oggi si sbriciola sotto le dita. Non mi risulta che da allora questo splendido libro sia stato ristampato. Similmente alla Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, pubblicato invece più volte e qualche anno fa anche dalla Mondadori-Fondazione Valla, è assai più che un libro di storia, è la cronaca in presa diretta di un' epoca turbolenta, una letteratura a metà fra la tragedia e la farsa: intrighi politici e battaglie, aneddoti, cattiverie e notizie inedite. Chi sapeva per esempio che Arnolfo di Carinzia figlio naturale di Carlomanno re dei Franchi Orientali, dopo la sua ultima spedizione nella Penisola e dopo avere ricevuto la corona di re d' Italia, morì in Germania divorato dai pidocchi? I libri accademici non prendono in considerazione questi molesti parassiti. Ma una morte tanto strana non può essere una invenzione, dev' essere vera per forza. Carattere ombroso e insofferente, al ritorno da una missione presso Costantino VII imperatore di Bisanzio, Liutprando cade in disgrazia presso Berengario II e deve rifugiarsi in Sassonia. Dopo la lite e la fuga si mette al servizio di Ottone I, "gloriosissimo e invittissimo", e si vendica di Berengario e di sua moglie Villa scrivendo La restituzione (Antapodosis).
Frammento dell'opera Antapodosis
"La lingua non può dire - scrive Liutprando - e la penna non può scrivere quanto numerosi dardi menzogneri, quali rapine, quale immensa empietà essi abbiano, senza causa, adoperato contro di me, contro la mia casa, la mia parentela, la famiglia mia". Più che un libro di storia questa Restituzione è dunque un libello pieno di rancore, scritto con la penna intinta nel veleno. Visto che con le armi non gli era riuscito di tener testa alla arroganza bizantina in Puglia e Calabria, Ottone I pensa di ricorrere alla diplomazia e invia a Costantinopoli il vescovo di Cremona per intavolare una trattativa di matrimonio tra il figlio e una principessa Porfirogenita. Naturalmente la missione doveva fornire anche informazioni sulla efficienza militare dei Bizantini. L' astuto imperatore Niceforo Foca capisce subito il doppio intento della missione e tratta il vescovo Liutprando come una spia. Dopo averlo fatto aspettare davanti alla porta di Costantinopoli insieme al suo seguito per una notte intera sotto la pioggia, lo tiene praticamente recluso per tutta la durata della difficile missione. I dispetti e le intimidazioni si susseguono per tutta la durata del soggiorno che si protrae per quattro mesi, tanto da esasperare l' inviato di Ottone che, al ritorno, si vendica dell' insuccesso della sua missione con una relazione diplomatica velenosissima, appunto la Relazione di un' ambasceria a Costantinopoli (Liber de legatione constantinopolitana). L' imperatore Niceforo Foca viene descritto come "uomo davvero
mostruoso, un pigmeo con la testa grossa, che sembra una talpa per la piccolezza degli occhi, imbruttito ancora da una barba corta, larga, folta, brizzolata, deturpato da un collo alto un dito, con una chioma prolissa e fitta che orna una faccia di porco, nero di pelle come un Etiope (col quale non vorresti mai imbatterti nel cuore della notte!) grosso di ventre e magro di natiche, con i piedi piatti, vestito con una veste di bisso vecchissima e divenuta, per l' uso quotidiano, fetida e ingiallita ecc.". Altrettanto feroci sono le osservazioni sul cibo infarcito di aglio, affogato nell' olio e condito con una disgustosa salsa di pesce, del vino imbevibile perché condito con resina e pece. Gli incidenti diplomatici si susseguono senza tregua durante il disgraziato soggiorno del vescovo di Cremona nella capitale dell' Impero bizantino: a tavola viene data la precedenza a un legato bulgaro "che cinge una pesante cintura di rame come un selvaggio" e Liutprando si alza dal tavolo e se ne va. Durante i colloqui Niceforo rifiuta di riferirsi a Ottone con il titolo di "basileus" (imperatore) ma lo nomina come "rega", o re, in segno di disprezzo. E quando Liutprando viene invitato a una battuta di caccia all' onagro si rifiuta di togliersi il cappello che lo ripara dal sole mentre l' etichetta esige che in presenza dell' imperatore nessuno possa stare a capo coperto. Alla fine della sua Relazione Liutprando afferma "dico e dico il vero" ben sapendo invece quanta malizia aveva posto nelle sue parole. Della corte di Bisanzio, nota per le raffinatezze, il lusso, la ricchezza e il fasto delle cerimonie, si riceve qui una immagine pessima, a correzione delle meraviglie che se ne dicevano allora in ogni parte del mondo. Storia e "invenzione" da recuperare per il piacere della lettura.LUIGI MALERBA  da Archivio di Repubblica ( ricerca.repubblica.it)

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